modernismo compulsivo

Queste cose, oggetti, pianificazioni, architetture così stabili e labili assieme, luminescenti ed interconnesse che sembrano avere una vita propria, oltre a contenerne altre, sono la nostra visione del mondo, oppure la visione che subiamo del mondo?

La bellezza del mostrare, incastona funzioni, negozi suadenti, facciate di desideri che assecondano liberazioni da freni inibitori. L’acquisto come centro del vivere e dell’essere diviene l’altra vita rispetto a quella così banale del reale, così fittizia del pensare, così labile del desiderare.  Si saggia il limite di capienza del possibile, ben oltre l’utile, spesso oltre il bello, di rado nel necessario: è il progresso, ragazza, è il compenso del malessere. La pulsione all’acquisto immersa nella frenesia (anche nella penuria si acuiscono i desideri deviati) è simile all’odore del sangue, alla violenza, alla piazza e si muove, ondeggia, punta con decisione sull’obbiettivo dell’atto avendo il solo bisogno della soddisfazione.

Può bastare questo vivere per definire un canone del bello, oppure il mondo vuole liberarsi dal pungolo della bellezza, ne vuole ridurre l’impatto rivoluzionario portando il tutto ad una dimensione che renda quotidiano l’eccezionale, e quindi visibile e percorribile senza fatiche, vicino di casa, acquistabile in riproduzione. Come fosse un poster da appendere in camera che ricorda la meraviglia dal mondo.

4 pensieri su “modernismo compulsivo

  1. Qui da me 5-6 anni fa è stato costruito un grande centro commerciale che attira le persone come api al miele. Anche in questi tempi di crisi, è sempre affollatissimo (non occorre andarci basta osservarne le auto parcheggiate), vi si va a fare gli acquisti, a fare le vasche, a incontrare gente.
    E’ trendy.
    Ma io non sono trendy.
    E sono felice di essere diversa.
    Ci sarò andata 5-6 volte in tutto, praticamente una volta all’anno. Non mi ci ritrovo e non mi ci ritroverò mai.

    Lo evito di proposito e se esiste alternativa scelgo l’alternativa, cioè un negozio del centro storico.
    Ma di domenica nessun acquisto in nessun negozio, per principio e per rispetto di quelle persone che, dipendenti, sono obbligate a lavorare e trascurare i propri affetti e passioni.

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  2. Non so, Willy. Penso che il “bello” non vada d’accordo con l'”acquisto” inteso come urgenza di riempire un vuoto. Se anche di vuoto di bellezza si trattasse, se vi fosse un’educazione a riconoscere, apprezzare, diffondere il bello, non sarebbe questa specie di surrogato dell’oppio a rappresentarlo. Spesso il problema nasce dal non sentire ciò di cui si ha realmente bisogno.

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  3. l’assurdo è che la compulsività diviene bisogno, non è governata in quanto viene intesa come insieme minore, si lascia il governo ad altro perché nell’acquisto inutile è solo il denaro in gioco. Così si pensa ed invece il rapporto è ben più alto ovvero tra ciò che potrebbe saturare diversamente il bisogno, cosa difficile e la facilità dell’acquistare.
    Credo che tutti sappiamo di cosa abbiamo bisogno, ma pare che tutto questo non renda allegri 🙂

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