Zanzotto continuerà a parlare. Con le sue poesie, e con il suo messaggio sociale e civile per la difesa del territorio, della bellezza, della dignità del vivere e non dell’avere. In questo progresso scorsoio, una intervista pochi anni fa, ma anche nel dialogo con Paolini, c’è la visione del poeta che vive di realtà, denuncia il rischio, combatte l’imbarbarimento. La lega e l’uso distorto del dialetto è stato un suo obbiettivo, non il principale, ma quello evidente, che faceva notizia quando la definiva una peste. In realtà nella brutalità degli appetiti portati a norma, coglieva la distorsione delle parti migliori di una civiltà fatta di secoli di contaminazione e accoglienza, di apertura e battaglie per i valori comuni, tutto sacrificato su slogan che diventavano modo di pensare e arretravano tutti anziché far crescere. Zanzotto parlava così forte dei rischi della nostra crescita cieca di futuro e umanità, sui rischi del profitto senza il bene comune, che si rischiava di perdere l’altissima poesia fatta di penetrazione nelle cose, di assonanza tra civiltà, uomo e parola.
Pensando a lui, mi è venuto da riflettere su quanto è stato detto su Steve Jobs in questi giorni, dopo la sua morte. Grande è il suo contributo al cambiamento del modo di vivere, una svolta impensabile se letta nei paradigmi dell’informatica degli anni ’60 e ’70. Ho lavorato per molti anni in quel settore ed è difficile spiegare a chi non ha vissuto in quegli anni, cos’era un mainframe, quale fosse la distanza sacrale che esisteva tra i centri di calcolo e le altre parti dell’azienda. Il dato, l’informazione in quegli anni esplicava un valore dirompente, come ci fosse davvero la possibilità del governo e della manipolazione del tutto. Il gruppo che costruì il primo portatile rivoluzionò il concetto gerarchico dell’informazione, la rese portatile e la tradusse in un’ attività non specialistica. Il computer come macchina personale, da usare senza sapere come funziona. Un elettrodomestico.
In quegli anni la parola parlata aveva preso il sopravvento su quella scritta, il telefono era davvero la tua voce, come diceva uno slogan, ma il p.c. rovesciò le priorità, ritornò al centro lo scrivere. Noi stessi siamo parte di quella rivoluzione e di quello che ne seguì. Quindi Jobs fu geniale, nell’intuire e nel mettere assieme competenze, che singolarmente non producevano nulla se non curiosità, in un oggetto talmente innovativo da scardinare modi di vivere. Fin qui il suo grande talento ed abilità. E non parlo del marketing, certamente anche quello fu centrale, ma fa parte del genio averlo così tanto enfatizzato e reso protagonista. Quello che passa in ombra è come questi oggetti meravigliosi vengono prodotti, quanto conculcano gli uomini che li fanno materialmente, quanta sofferenza racchiudano quei profitti. Questo è il lato oscuro di Jobs. Sapeva, ma questo non era eticamente contrario ai suoi principi, tutto si svolgeva in una transazione dove ciascuna delle parti massimizzava, non importa come, il profitto.
E qui vengo ad Amantya Sen quando sostiene che è fondamentale per l’uomo non essere succube dei valori e della propria storia, ma agire dialetticamente con essi, chiedersi se, pur nel rispetto di essi, ci saranno conseguenze sociali nel proprio agire. In questo l’economia crea mostri etici perché la fedeltà ai principi toglie domande ai depositari della fiducia degli azionisti, giustifica l’ingiustificabile semplicemente non considerandolo un problema proprio. Questo permette, in nome del profitto di alterare l’ambiente, imporre condizioni dure alla vita di chi lavora, toglie diritti reali dicendo: è il mercato, baby.
Zanzotto questi problemi se li poneva e sollecitava una via umana alla crescita. Ogni volta che prendo in mano il mio portatile dovrei pormi una domanda sulla crescita tecnologica e quella umana. C’è stato un momento in cui andavano assieme, adesso non è più così e la prima si inerpica mentre la seconda arretra. Gli effetti sono intorno a noi, ed una riflessione sull’economia del benessere è quantomai attuale. Andrea Zanzotto ci ha aiutato in questo, lo farà anche in futuro.
SI.
Zanzotto continuerà a parlare di realtà senza perdere l’altissima poesia fatta di penetrazione nelle cose,di assonanze tra civiltà,uomo e parola e,come lo fu per Jobs,anche noi faremo così la nostra rivoluzione,forse inconsapevole,fatta di competenze,suscettibili al nascere solo di stranita curiosità,ora coscienti di un modo autentico che può rovesciare comportamenti,schemi,modi di vivere.Zanzotto,come quel GATTO “magico” che tanto mi ricorda il mio Omero continuerà adesserci e,nel “suo” modo, parlerà al cuore dell’uomo nonchè alla sua coscienza.E noi lo sentiremo.Sempre.Al di là di cieli,di venti e forse anche di anni…Bianca 2007
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http://www.youtube.com/watch?v=WPEPj3wpSb0
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