Queste righe le ho scritte per un blog fatto da Faty e altri giovani, per riflettere sulla condizione giovanile. http://noclaps.wordpress.com/
E’ quello che penso della mia generazione, convinto che questa abbia una occasione unica per non dichiarare il fallimento della propria vita collettiva, delle speranze che ha incarnato, del mondo che voleva ed in piccola parte ha cambiato. Lasciare ai giovani la possibilità di cambiare il mondo è un regalo che facciamo a noi stessi, un bene che ancora non conosciamo.
Questo del rapporto tra giovani e anziani (grandi come dicono loro, con molta misericordia, ma siamo vecchi, irreparabilmente vecchi, se non viviamo le nostre vite lasciando che quelli meno “grandi” di noi vivano le proprie) è un tema che sento molto presente in me, non solo attorno. Ne parlo con mio figlio e con altri giovani, quello che ricevo è talmente vitale che mi pare incredibile che questa non sia la vera riforma che una forza politica di cambiamento sceglie per governare il Paese.
Basta guardare gli eventi sui giornali, o andare alle inaugurazioni, alle celebrazioni. Non importa che siano grandi o piccole. Bisogna guardare nelle prime file, attribuire le età, riconoscere le facce. Se il mondo fosse vero, ovvero aderente alla realtà, dovrebbero esserci giovani uomini e donne in quelle file. Se il mondo procedesse in un senso lineare e non circolare, uno di quei giovani si dovrebbe alzare e chiamare un nome, invitandolo a dire di sé, testimoniare qualcosa, passare un testimone, raccontare cosa sta facendo perché adesso il mondo cresca, sia più giusto, vada un poco avanti nella coscienza del bene comune. E il chiamato dovrebbe dire, con la sintesi degli anni, di chi ne a viste, che non s’è stancato di vedere, dire. E poi dovrebbe tornare al suo posto, con una leggera commozione negli occhi e nella voce, perché gli uomini vecchi, anche quelli che non sanno di esserlo, sentono la difficoltà del mondo. Si commuovono. Poi gli passa, ma quel leggero tremore di voce gli scava dentro la sensazione che il percorso che avevano iniziato non si sia compiuto.
Noi eravamo la testa di cento manifestazioni, avevamo un fuoco nelle mani, con cui giocare e fare luce nelle nostre notti. Le notti insonni saranno pur servite a qualcosa. Credo. Spero. Oppure no?
Noi eravamo e adesso cosa siamo?
Forza queta, riflessione, cambiamento senza utile personale, oppure siamo diventati quelli che sembrano i più fortunati di noi: gli smoking delle prime, i culi per sedili delle auto grige, che però sono blù, gli oracoli che distillano saggezza e sono privi di cuore?
Siamo davvero così banali?
Una generazione, la mia, spiaccicata sull’essere-avere, che dopo aver osannato l’essere, ha ripiegato sull’avere spacciandolo per il primo. L’avere è il cialis della mia generazione, quello vero, quello che serve per il coito giornaliero con una vita non consenziente, che invece ti direbbe: fai altro, occupati di altro, dai una mano, mettiti a disposizione. E se non serve a far soldi, meglio, è così bello il mattino senza la pressione alta.
Il grande servizio che compirebbe il nostro sogno giovanile, che davvero prolungherebbe la giovinezza, sarebbe permettere il cambio generazionale, permettere che questa società diventi giovane, faccia errori nuovi, inventi virtù sconosciute, sperimenti piaceri meno banali. Questo chiedo a me stesso e ai miei coetanei: farsi da parte per scelta, che significa essere dentro, nel profondo, della società più giusta che volevamo. Non cacciati, ma utili, disponibili. E’ una così grande libertà dire ciò che si pensa, vivere come si pensa giusto, ed assieme a questa, è ancora più grande la libertà di ascoltare ciò che dice una persona che non ha la tua esperienza, la tua età, il tuo percorso e sentire.
Non annoia, capisci, non annoia. E noi siamo annoiati di noi stessi, sgrufoliamo in un mondo che è nostro, ma che contiene una domanda terribile: è un mondo peggiore di quello che abbiamo ricevuto?
Bisogna lasciar fare ed essere lo stesso, affrontare la realtà e non occultare il cadavere. Non faranno peggio di noi, avranno misericordia e cuore e soprattutto non annoieranno come noi stiamo facendo.
Caro Willy..nel mio giro di “ricognizione” dei blog amici, ti lascio sempre per ultimo, insieme a Piero..e sai perchè? Perchè da voi trovo “roba pesante”, temi che impegnano il cuore.
A quest’ultimo tuo post rispondo nella stessa identica maniera in cui ho scritto a Piero, che giorni fa ha trattato lo stesso argomento.
“Mi sono molto familiari questi dubbi e interrogativi, queste nostalgie e rimembranze..i canti, i cortei, i fiumi colorati, gli spari, gli occhi gonfi per i lacrimogeni, i fazzoletti bagnati sulla bocca, le fughe…l’allegria, il fervore, la passione…
Eravamo i ragazzi di allora, eravamo vivi…e adesso?
Vivo tra i ragazzi e per lavoro e perchè mamma, li sento, li vedo, li leggo..e credo in loro, abbiamo speranza!. Fanno più fatica di noi, per noi era forse più facile, ci si ribellava, si voleva, si credeva, ci si infiammava..ma noi avevamo certezze, solide certezze e la speranza di farcela era una valida compagna. Per loro oggi è ancora più complicato..è tutto troppo fluido, troppo marcio, si trovano sballottati in situazioni scomode quando noi abbiamo fatto di tutto per dar loro conforti e bambagie ( è una colpa grave di cui fare mea culpa)…ed è sempre più faticoso passare da situazioni facili e comode a situazioni precarie, instabili. Abbiamo dato loro agi, non riconoscendogli la dignità di persone..perchè quando si negano le possibilità di realizzazione, quando si negano i sogni, il futuro, questo è: non riconoscer loro dignità. Ma come tutti i virgulti portano in seno potenzialità ed energie nuove…e i nostri passi saranno accanto ai loro per camminare la stessa strada. In perfetta sinergia daremo e prenderemo.. e rimarremo vivi”.
Un abbraccio di riconoscenza
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Mi hai fatto tornare a mente, Vera, che mai come nella generazione a cui appartengo il diritto alla felicità è stato così assunto e portato nei pensieri collettivi. Naturalmente ciascuno per suo conto, dando significati differenti sia al diritto che alla felicità. Uno degli effetti, con quel benessere che una lunga assenza di guerre ha prodotto (ci si dimentica spesso di questo effetto della pace) è stato quello di trasferire immediatamente sui figli quello che via via si rendeva disponibile. Come tu dici, abbiamo dato agi e tolto dignità, sono stati riempiti di cose, e tolta loro la misura del valore e della necessità. C’è un saggio situazionista che mi è tornato a mente, precede il ’68, e parla della miseria della condizione giovanile. Anche allora era così, economicamente e “politicamente”, ma la condizione giovanile non aveva 35 anni, ne aveva 16. Spero che le prossime manifestazioni aiutino a capire, noi soprattutto. Spero che i giovani siano più forti di noi, che adoperino la protesta come forza di cambiamento, spero che al contrario del potere costituito, usino la non violenza. Lo spero. Il diritto generazionale è diventato per me il discrimine della politica. Sono abbastanza esperto per capire che ci sono differenze e furbi, che il giovanilismo alla Renzi alla fine è un passaggio di testimone nel potere, ma non nella sostanza. In questo ascolto quanto viene dai movimenti, cerco di capire e mi chiedo come essere utile, oltre che a tirarmi in disparte.
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Non so a quale generazione appartengo. Ho fatto scelte che molti miei coetanei considerano, nella migliore delle ipotesi, eccentriche. Sul lavoro e nella vita privata. Ho imparato a convivere con il senso di straniamento che ne è derivato.
I giovani. L’età giovanile si è allungata enormemente negli ultimi anni.
Dai quindici ai trenta, quaranta, cinquanta?
Guardo i miei figli e mi piacciono. Li sento forti nei loro equilibrismi. Hanno le chiavi per aprire porte che noi, spesso, neanche vediamo.
Ciao Willy
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Se appartieni a te, Pass, hai fatto quello che molti di noi consideriamo il vivere. I giovani sono una mescolanza di forza e inermità che suscita un amore e tenerezza infinite.
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dei tempi andati si ricorda solo la parte migliore. io mi ricordo quando vinceva sempre la dc, quando fanfani sembrava incollato a quei banchi, quando c’era andreotti che se n’è andato quando ha deciso lui, e rumor? e colombo? non è che sono andati via sotto la spinta di chissà quale movimento. le pistole hanno ammazzato moro pensando di essere nel 1917, ma era la fine. e dopo quello abbiamo spalancato le porte alla milano da bere, siamo stati noi ad essere stufi delle eterne discussioni notturne, si aveva voglia di leggerezza, delle giacche destrutturate, di andare in vacanza in kenya 😮 ce lo siamo dimenticati? abbiamo delegato ai magistrati il compito di liquidare craxi e loro l’hanno fatto , e proprio noi (ovviamente non io e te ) siamo saliti sul carro del palazzinaro di arcore, del j.r de ‘noantri. intanto ci siamo sposati in chiesa, anche i migliori rivoluzionari hanno un prete nel loro passato , lavoro ben pagato, figli a lezione di danza pianoforte inglese, fino a che ci hanno detto : sveglia, che la festa è finita.
adesso siamo a chiedere alla magistratura di fare il lavoro sporco, dinuovo, ai ragazzi di prenderci per mano e farci vedere la strada, come se fossimo stati colpiti da alzaihmer, come se noi quella rivoluzione non l’avessimo praticata prima di loro. Non si può caricare sulle loro spalle il compito di liquidare questo governo, di cui siamo tutti co-responsabili (mai pensato quelli della sinistra di fare ai tempi una bella legge sul conflitto di interesse? non ce li ricordiamo quelli di rifondazione che fecero del loro meglio per rovinare ogni santo giorno quell’anemico governo prodi?). Almeno questo glielo dobbiamo : come quando te ne vai in pensione lasciando le chiavi di un’azienda sana : il resto , la fantasia al potere, la metteranno loro.
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Credo che per viltà e ignavia non possiamo delegare ai nostri figli il compito di ucciderci socialmente, gli dobbiamo la possibilità di una vita: la loro e la nostra. Sulle nefandezze della mia stagione ricordo molto, ho il vizio del ricordo anche se cerco che non ottenebri il presente. Non volevo essere apologetico e neppure dire: noi abbiamo vissuto, ma ricordarmi/ci che abbiamo sognato. E’ la capacita’ di sognare che viene frustrata, annegata in un quotidiano che non capiamo. Ieri mi hanno chiesto a chi mandare un curriculum di una neo architetta, ho risposto: a nessuno. Non avrei detto così solo due o tre anni fa.
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Tra gli errori della nostra generazione io metterei senza pensarci un attimo anche quel velleitarismo sfrenato.
Per cambiare il mondo bisognerebbe sapersi sporcare le mani al punto giusto, ma quelli che le mani se le sono sporcate lo hanno fatto fin troppo. Gli altri (io, per dire) sono rimasti “puri” – chiusi nella loro nicchia, socialmente utile quanto ininfluente.
Credo che il mondo che lasceremo ai nostri figli sarà comunque per molti versi migliore di quello che abbiamo ricevuto noi.
Un po’ migliore, nonostante noi.
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Mi pare un buon pensiero Roberto, qualcosa su cui salvarsi. abbiamo bisogno di speranza. anche per dare una mano.
Condivido su quanti le mani se le sono sporcate anche troppo
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