cercare Venezia


Venezia, giovedì era stupenda. Parlo della mia Venezia, quella degli itinerari seminascosti e deserti di turisti. La Venezia dove un campo è piccolo, ha di due panchine, una è vuota, e nell’altra, i vecchi parlano con i piccioni.

Camminare nel sole ed ombra, guardando i particolari d’una trama che, ai tempi della Serenissima, non era ancora scritta. C’è una Venezia dell’ 800 e del primo ‘900, dove finiscono i marmi bianchi, il Sansovino, lo Scamozzi, il Sanmicheli e gli epigoni del Palladio. Dove la mercatura non era arrivata ed il lustro del Canal Grande è lontano assieme all’apparire. Una Venezia di gatti, calli strette, ponti miserelli e case operaie fatte di mattoni. Siamo vicini al lato nascosto di quella che fu, un tempo, la più grande fabbrica veneziana: l’arsenale. Munito castello che conservava l’arte, i segreti e l’ingegno dell’andar per mare su legni e ferro d’armi. Un immenso agglomerato di sale enormi, di mattoni, di colonne possenti, di camini e pareti in rovina. Davanti c’è Murano e l’isola dei morti, il cielo e un braccio di mare a dimensione domestica. 

Sia pur vecchia, qui la vita della città, dei veneziani, esiste ancora. Non è coartata, mutata geneticamente dai foresti, abbagliata dal colore dei vetri, delle maschere, dei merletti, del tutto cinese, del tutto da vendere e nulla da conservare. E’ ritratta in sé e guarda l’agonia dell’altra parte che vive d’apparenza, sente che essere nel mondo snatura, non esprime identità, così s’ aggrappa alla cultura che ricorda e si spegne.

Che senso avrà il padiglione Italia, proposto da Sgarbi, alla Biennale, con 2000 artisti invitati, dispersi ogni dove, in città e in Italia. Traccia di qualcosa che forse è altro e comunque non riconducibile ad una città. Non capisco, forse neppure i veneziani capiranno, ma non importa, basta arrivino turisti. La grande Venezia era gelosa, autoctona anche quando importava ingegni, piegava le menti ad un volere aristocratico, teneva il meglio del mondo, teneva e lasciava liberi se c’era compatibilità tra grandezze. Chiedete al Veronese cosa pensavano i monaci della sua cena in casa di Levi. Del resto l’aristocrazia aveva sbarrato le porte ad ingressi esterni, bisognava essere veneziani per governarsi, il resto era comprabile. E per partecipare al maggior consiglio, dopo la serrata, e quando già il declino era ben visibile, non bastava essere nobili, e neppure grandi, ma bisognava versare 100.000 scudi. Ma non illudetevi, pur indossando gli stessi abiti, non si sarebbe mai stati eguali davvero.

Città altera, generatrice d’orgoglio, forse l’unica dove appartenere era condizione, dopo Roma. Feroce con i nemici, assolutamente conservatrice, se non nella mercatura, finché poté averne una. Miope per sua grandezza. Ma non sono oggettivo, la mia città, che contribuì alla nascita di questo miracolo, attraverso i suoi abitanti spinti dal terrore dei barbari, ha chiuso la propria grandezza di capitale nel 1406, quando il suo signore, i figli maschi e parte della sua famiglia, vennero strangolati nelle prigioni di palazzo Ducale. Si chiudevano così guerre che erano durate tre secoli, ed iniziava una damnatio memorie che, oltre a cancellare i Carraresi, precipitava Padova nel declino sonnolento della provincia. E solo l’ultimo contributo con il neo platonismo, con il metodo scientifico di Galileo e con la nascita della medicina moderna mostrò sprazzi di quello che avrebbe potuto essere la città se lasciata crescere. Antica inimicizia tra parenti, quindi, ma anche simbiosi non paritaria, per convenienza, necessità, rapporto di dominio. Secoli d’ombra. Forse poteva essere diversamente, per Verona fu così, ma bisognava schiacciare il cugino scomodo e infido. E Venezia ci riuscì bene.

Sembrano cose lontane, eppure, pur nel mutato ordine, le competizioni pesano ancora, in questo mondo dove primeggiare almeno in qualcosa è condizione di vita. C’è una battaglia tra galletti in corso, nuovi ingressi e nuova nobiltà di denaro orientano la crescita. I luoghi hanno bisogno di principi adeguati, lungimiranti di futuro e di opere, sfidanti di fortuna oltreché d’uomini, per crescere e far nascere appartenenze e culture nutrite di opportunità.

Venezia ora è altrove, corre per suo conto. La mia Venezia, si stende pigra e guarda quanto accade. E’ un enorme animale immoto, fatto di pietre senza dominio da mar, senza dominio da tera, e così punta al cielo. Dice: cibatevi della mia apparenza, porté bezzi foresti, fazì el vostro comodo, ma con creanza. ( portate denaro, fate il vostro comodo, ma con educazione) E il cuore batte piano altrove. Sempre tra acqua, terra e cielo, nei luoghi dove gli abitanti possiedono il tempo. Cosa che i turisti non possiedono. Dove c’è la coscienza d’essere diversi, ed è barriera impenetrabile per chi è frettoloso. Dove parlano di niente e pare di capire, ma nella ciacola, il suono conta più delle parole  e quando si segue lo sguardo di chi parla, in realtà non si sa dove guardare.

5 pensieri su “cercare Venezia

  1. Pensa che proprio oggi sarei voluta andare a Venezia, ma poi il viaggio è saltato! 😦

    La Venezia che mi attira è la tua Venezia, non quella dei turisti.
    Immergersi nei vicoletti distanti dai percorsi classici, lontano dalla folla (che mi infastidisce, e molto)!
    Ascoltare il silenzio, immaginare e cercare di leggere sui muri scrostati le storie e le vite che sono passate nel corso dei secoli.
    Questo mi affascina.
    Complimenti per il tuo post: vi si legge il tuo grande amore per questa splendida e unica città!

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  2. CONOSCO VENEZIA
    in tutte le sue stagioni.E sempre l’ho amata perchè anche nel suo splendore di stagione a lei più congeniale, sempre vi ho raccolto un’ancestrale malinconia.Malinconia che anche questa mi appartiene.Fiera perchè non comunicabile se non attraverso gli occhi.Gli occhi del cuore.
    Il tuo raccontare,comunque è finissimo e cesellato come i suoi merletti che immediatamente m’han portato davanti all’ingresso della Biblioteca di San Marco dove chiara è la verità di un univoco colore di un Tiziano che così liberamente gedette di profondità d’anima e serena quanto inquieta fantasia.Grazie per questa suggestiva lettura e…buon dì di festa.Bianca 2007

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  3. Venezia è quasi insopportabilmente bella, una bellezza e fragilità che fa soffrire
    concedete ai poveri “viandanti” (turisti è dispregiativo, detto così) di potersi riempire gli occhi di questa meraviglia
    nella vita non si dovrebbe negare a nessuno una visita a questa fascinosa signora d’antan
    [non è mica dei veneziani, è patrimonio di tutti…]

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  4. Venezia si offre, basta prenderla, non dice quasi mai di no. Adesso. Un tempo diceva di no a tutti, ma quel tempo è finito. La Venezia che amo è quella che ho scelto, anche nei percorsi canonici ho bisogno dei particolari che la rendano mia. Venezia oscura le città vicine, sembra il essere il Veneto, ma non lo è. E i turisti non hanno mai tempo, i viandanti ne hanno. Venezia oscura anche se stessa,dei tanti anni che la esploro, la gioia del perdermi è rimasta eguale, come quella del capire la lingua e star zitto. Venezia è a disposizione degli occhi e del cuore, ma mi interessa il suo cuore. Quello cerco.

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  5. Venezia, parola piena di fascino che riempie
    la bocca e poi … lo sguardo .
    Venezia, una magia sfumata dietro inganni e incuria
    dell’uomo.

    Magnifico post scritto con
    il cuore.

    Ciao caro Willy
    Mistral

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