Stavamo appoggiati, di spalle, con le nostre giacche, ancora pesanti. La mia chiara, la tua marrone.
Stavamo. Le teste appoggiate verso due orizzonti opposti. Sentivo i tuoi capelli attraverso la lana, le vibrazioni delle parole. Parlando, dopo il camminare, spesso di cose differenti, il discorso scivolava senza circolarità su piani ferocemente inclinati. L’ironia, qualche risata e i silenzi, tra discorsi a volte leggeri, poi improvvisamente profondi. Eravamo stati zitti prima, bastava la vicinanza. Adesso la leggerezza e i silenzi nascevano da questo scivolare che sembrava non finisse mai, ed assomigliava a quando ci si rotola su un pendio d’erba o in montagna sulla neve, e l’ilarità e i richiami sono auto ironici, e tolgono il fiato, e i pensieri sono nel momento. E lo godono, perché c’è amicizia, condivisione, un passato ed un percorso comune.
Solo la luce se ne andava.
Dio, non ho mai sentito l’eros così appiccicato, così pieno di futuro, e il futuro era la sera, le cose ancora da fare, il bere, la notte e poi questa vicinanza così sincrona da poter parlar d’altro, sputare verso le stelle, ridere di nulla o tanto, e non smettere neppure per andare a pisciare.
Non voglio essere una puttana, ne’ per me stesso, ne’ per gli altri.
Lo dicevo sentendo risuonare la mia testa contro la tua attraverso i nostri berretti di lana.
E perché puttana e’ solo femminile? io sono un maschio, voglio il maschile del mio non voler darmi in cambio di qualcosa.
Il mio berretto aveva un ricamo con una foglia verde. Avevo voglia di fumare. Accesi mezzo sigaro, davanti a me un pezzo di cielo dietro gli alberi, le erbe. Tra il fumo, sentivo il rumore dell’acqua. Boccate larghe, e tu che dissertavi sul tradire a mezzo, che non esiste come il mezzo buco, che la considerazione di sé è controllo, assenza sapendo cosa manca, che avevamo sbagliato molto, ma non tutto, che nulla e’ per sempre e che a saperlo la verità e’ accettabile. Chissà cosa guardavi. Te lo potevo chiedere, ma m’interessavano le tue parole, anche il suono mi piaceva. Ci bevevamo la realtà dell’altro senza cessare d’essere noi.
L’onanismo in coppia, non importa con chi, facendo finta vada tutto bene, che tutto sia normale. Normale, chissà cos’è normale? Ma se non stai bene tutto è un palliativo, dura un attimo e pensi che venga ricordato. No, non verrà ricordato nulla, il tempo è un giustiziere implacabile, devi avere qualcosa di vero a cui attaccarti. Qualcosa che ti faccia dire domattina sarò contento e sarò ancora io. E anche dopodomani, per lo stesso motivo, non per rassicurarti, ma per dirti che vali ancora. Che il tuo valere non dipende da altri. E lo sai che ci sarà un momento in cui non varrai più per gli altri, ma per te continuerai a valere.
Ecco, anche per quel tempo devi vivere.
Ti ho amato per queste parole: la finzione inutile, la scusa di dare, come se i residui comodi del cattolicesimo ci difendessero dall’inutile e dall’egoismo. Il cercare l’utilità del desiderio soddisfatto, che si scioglie e ricomincia e non è la vita, ma il vuoto se non ha un progetto, una continuità. Il bisogno d’aria, di verità, di purezza laica, che significano quiete e forza e voglia di andare avanti con le domande, senza giustificazioni o risposte a metà.
Quello che vogliamo– ti ho detto- e’ un amore, e néanche piccolo, il sesso va bene, ma non dura. L’abbiamo sempre saputo, anche quando leggevamo Reich, che gli anni passano, passano davvero. E’ una balla quella che e’ meglio avere un rimorso che un rimpianto, non c’è scelta, tant’è vero che ci autoconvinciamo, usiamo parole d’altri, cerchiamo conforto nelle vite altrui, nei corpi altrui. Tutto e’ vuoto, lo diceva già il Qohèlet raccogliendo la consapevolezza di migliaia di vite, d’anni e di domande. Una vita da autistici per non dirci la verità, la purezza anche nella dannazione. Da chi e da cosa non so. Da noi credo. Ci danniamo rispetto a noi, ma prostituirsi e’ peggio, non ha assoluzione. E lo sappiamo che prostituirsi non ha mezze misure, o è o non è. Conformarsi a se’, dialogare con se stessi, non raccontarsi storie, il resto verra’ di conseguenza.
Non parlavi. Avevi fatto una sigaretta ed aspiravi forte. Anche girato vedevo quel tuo sguardo intento ed il mezzo sorriso finché mettevi i fili di tabacco e passavi la punta della lingua sulla cartina.
Quant’è durato il silenzio prima della notte?

Mi hai trascinato dentro pensieri ed immagini e hai evocato altri pensieri ed altre immagini. Un ricordo dimenticato mi è salito alla gola improvviso lasciandomi senza respiro.
Buona Pasqua Willy
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buoni giorni per Te Pass, respira la primavera, il colore nuovo che ci attornia.
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