la parola della settimana: accoglienza

Pozzallo non è un grande porto, più o meno un milione e mezzo di tonnellate/anno. A fatica due navi in banchina, e neppure grosse: una ottantina di metri e 20.000 tonnellate al massimo.

La banchina allinea cumuli di sfusi, granaglie, cemento, legno e ferro. Pochissimi containers, un paio di volte a settimana, da Malta, arrivano i negozianti a fare il carico di orto frutta per abitanti e turisti. Storie di banchina, senza blasoni di conquiste, qui non siamo a Venezia, Genova o Trieste, si corre, si fatica, si cresce lentamente.

Mi è tornato alla mente il colloquio, in un officietto arrampicato sulla banchina, con un operatore del porto.

Vede – diceva- e il braccio indicava la prosecuzione della banchina verso il frangiflutti, abbiamo navi in rada che attendono. Lo sa quanto costa un giorno di attesa? Ma non è possibile mettere più di due navi in banchina, spesso solo una. Lavoriamo giorno e notte e non cresciamo. Sono quelle – e la mano quasi percuoteva una distesa di vecchie barche, alcune sfondate, in gran parte di legno dipinto d’azzurro- che non sanno dove mettere e che stanno invadendo il porto

Poco lontano, in un magazzino vuoto, appoggiati o seduti per terra, c’erano una quarantina di africani. Un tavolino e una sedia di plastica bianca, un poliziotto che scriveva, due volanti a fare da barriera. Era l’arredo del centro di identificazione o, forse, di prima accoglienza. La barca era ancora spiaggiata, erano arrivati nella notte. La procura, con il sequestro, l’avrebbe aggiunta alle altre come corpo del reato, in attesa di chissà quale improbabile asta. Nulla da conservare, solo legno da smaltire, neppure buono da bruciare.

Mi chiedo cosa accada in questi giorni a Pozzallo, quanto le regole renderanno la vita difficile a tutti. Agli immigrati, alla polizia, ai magistrati, agli operatori del porto, a chi ci lavora. In questi giorni è circolata la notizia dei primi (?) 7000 iscritti nel registro degli indagati per immigrazione clandestina. Una necessità (?) della legge Maroni, adesso si nomineranno i difensori d’ufficio, lo stato li pagherà, nel frattempo una buona parte degli immigrati sarà andato chissà dove, speriamo non restituiti alla Libia.

Le regole confliggono con l’accoglienza, non la disciplinano. Diventano la prigionia della realtà: c’è un mondo in fuga e l’emergenza si avvita in carte e procedure. Accoglienza, una parola antica, pronunciata e sacra quando gli uomini erano “feroci”, poco organizzati e privi di leggi. Qualcuno dalle mie parti mi dirà: accoglili a casa tua. Ho già risposto: ma a che mi servirebbe vivere in un contesto organizzato, in una società, se questa mi trasferisce intatto il problema dell’emergenza. E’ l’equivalente dell’arrangiati, quell’arroganza che ci porterà a disgregarci, non a conservare il benessere che abbiamo. Come posso, e non da solo, aiutiamo, diamo una mano perché le persone possano vivere nei paesi da dove vengono, ma questo implica una gestione dell’accoglienza, non lasciare il problema a Pozzallo o a Lampedusa, o a Santa Caterina dello Jonio. Accogliere non è disgiunto dal creare le condizioni per il ritorno, significa essere umani.

Intanto l’ingiusto diventa grottesco e la norma si ritorce contro chi l’ha emanata. Prigionieri della lettera, ciechi della realtà.

 

 

2 pensieri su “la parola della settimana: accoglienza

  1. Vento teso da sud ogi a Pozzallo e mare mosso: il porto sembra una stamberga appena decente. Sento parlare il mio dialetto e penso: ” come la decliniamo la parola accoglienza? Come l’abbiamo tradotta, noi e loro, in questi ultimi 20 anni?
    La riflessione però la faccio in italiano e il vocabolario ha una copertina verde con uno strano disegno sopra a forma di sole. Ieri a Palermo mi sono fermato davanti alla chiesa di S. Giovanni dei lebbrosi: una moschea con un crocefisso piantato in cima. Accoglienza, accoglienza o invasione? O neessuna delle due. Fame forse e sete d’altro: a Pozzallo da giugno in poi i 32 gradi sono la norma, sete quindi e case calcinate dal sole. Sull’altra sponda è lo stesso ma da qui in 2 ore sei a Massina ed entri in Europa.
    Che ne sanno i disperati che attraversano il mare dell’Europa? Che ne sanno i cittadini di Varese o di Treviso; e noi che scriviamo sui blog che ne sappiamo? Non sappiamo tradurre accoglienza perchè finora non ce n’è fregato niente. Quelli entrano perchè hanno fame o paura…dopo pensano che ci sarà spazio anche per i loro vestiti e il loro Dio. Nei secoli non siamo mai stati capaci di andare oltre una difesa più o meno sterile dell’Europa perchè siamo troppo tedeschi, francesi inglesi o italiani; nei secoli Quelli e altri ancora semplicemente se ne fottono convinti che alla fine staranno qui e saremo noi una minoranza etnica. Questo sto pensando con in tasca l’Unità. Sto pensando che in tutto questo casino siamo proprio penosamente ridicoli e PRESI ALLA SPROVVISTA.
    Dentro un peschereccio alla fonda lungo la banchina ci sono dei pescatori che sistemano le reti, due sono di colore, il pesce non fa distinzioni, l’imbarcazione sì: non abbiamo mai insegnato loro a lavorare il pesce, siamo solo andati a pescarlo dentro la loro piscina dopo aver svuotato la nostra. Non c’è più tempo fratelli, non possiamo ributtarvi a mare, non possiamo sparire per farvi posto, non sappiamo pretendere rispetto per la nostra cultura perchè ce la siamo dimenticata, vi guardiamo sospettosi, ci guardate stanchi.
    I nostri rispettivi figli, forse, lontano da questi libri e ad queste televisioni, un giorno mangeranno il pesce lavorato assieme, si alzeranno poi e ognuno andrà a pregare il suo Dio. Ed io sarò a Bengasi e avrò una nostalgia terribile della Sicilia e della mia croce.
    Willyco, lo so che questo non è un commento, io non so cosa sia in effetti. Ma ciò che hai scritto mi ha fatto nascere dentro questo; se non lo pubblicavo qui sarebbe morto come molti clandestini in fondo al canale di Sicilia. Preferisco far pensare ate e ai tuoi lettori che io sia del tutto impazzito.Enzo

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  2. ti ringrazio, caro Enzo, davvero molto. Il tuo non è un commento, ma un testo compiuto che ha il suo posto nel tuo blog. E’ vero che siamo colti alla sprovvista, abbiamo eliminato il significato di molte parole dal nostro cuore, adesso le cose più semplici diventano difficili. La distinzione tra diritto e legge va a favore della seconda, mentre dovrebbe sempre prevalere il primo. Non riusciamo più ad immaginare la sofferenza se non nel nostro ristretto circolo di affetti. E spesso neppure in questo, è reversibile tutto questo? Credo di sì, se quelli che queste sensazioni le sentono, non si tirano da parte.

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