la parola della settimana: natale

Qualche settimana fa ho visto Uomini di Dio, un film che non ha smesso di pormi domande. Non mi ha colpito solo la parte cinematografica, comunque di gran pregio, ma l’idea che, indipendentemente da ciò che si crede o non si crede, ci sia un compito nella vita, ed una fedeltà ad esso che coincide con la dignità di sé. Questo compito ci può mettere in difficoltà, ma quando diviene parte di noi, è anche fonte di serenità nelle decisioni.  I monaci di Uomini di Dio, dicono all’integralista musulmano: Natale, è una nostra festa, e parlano di loro stessi, di quello in cui credono. Il mussulmano capisce, rispetta e se ne va. Capire e rispettare, ed attendere analogo trattamento dai cristiani, così potrebbe funzionare la convivenza, in questa società di anomie, di credenze formali. Credo anche che natale riguardi molto i non credenti, o ancor più gli atei, rispetto ai credenti, perché i primi e i secondi, si sentono strattonati, investiti, da qualcosa che ha uno stacco tra immagine e realtà elevato. Qualcosa che è mercificato ma pretende altre dignità. Natale è una parola strana perché il riferimento alla nascita non è un fatto collettivo. E’ una gioia domestica, che porta verso la speranza, ma è circoscritta. Le gioia collettiva la imponevano i potenti per i loro figli, come continuazione di un potere, di un dominio, ma forse per i sudditi contavano di più i festeggiamenti collegati che il nuovo nato. Natale quindi rompe una parola conosciuta dal suo ambito intimo, la spezza in un significato che interpella il non credente, ignorarlo è impossibile: troppo baccano, troppa attesa generata, troppo paganesimo salvifico, fatto di regali, ipocrisie, slanci veri, falsità colossali, gioie bambine, tristezze adulte. Tutto visibile e preparato per tempo.

Natale è il momento in cui chi non è al posto giusto deve ricollocare la testa, una sorta di giorno legale in cui si spostano le lancette in avanti. Natale è una questione semplice se diventa privo di significato. Natale divide tra chi non si fa domande perchè già sa, da chi non ci pensa e si diverte e basta, e da chi ha domande e non ha risposte. Natale per chi non crede è un giorno come un altro, però diverso, è come una festa altrui a cui si è costretti a partecipare. Ma forse le cose sono davvero più semplici e Natale era anche il mio vicino di casa, che faceva il muratore, si ammazzava di fatica tutto l’anno. Lui, a natale, riposava e basta.

 

  


6 pensieri su “la parola della settimana: natale

  1. Natale lo sento come tempo sospeso, tra un prima ed un dopo, sempre troppo uguali

    in mezzo l’occasione di riprendere fiato e porsi domande su quel che ne vogliamo fare, di noi e delle nostre opportunità (relazioni umane, stli di vita…) :
    coglierle?
    ignorarle?
    negarle?
    la nostra riisposta al Natale (mercificato, santificato, ignorato, interrogato) è lo specchio di come e cosa sentiamo essere prioritario e giusto, per noi…

    ti auguro di fare la scelta più autentica, per Te

    P.S. (silenzio congiunto mi piace molto: chissà se intendiamo la stessa cosa, aspettatore)

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  2. natale sono le ragazze piene di entusiasmo che impacchettano regalini e li mettono sotto il tavolino in ingresso con ciro che si rotola in mezzo. la mia casa sembra un catalogo ikea, senza albero per via del gatto, ma con babbi natali nordici appesi alle librerie, palline di natale messe nei vasi di vetro, lucine avvolte come un nido lampeggiante …natale ci tocca, da sempre. come hannuka tocca agli ebrei e chissà che ai mussulmani. natale ci tocca anche se non ci crediamo ma è bello festeggiare la nascita di un bambino, e immagina chi proprio adesso sta andando in un reparto maternirà a vedere il suo bambino appena nato.
    non sono auguri cristiani, Robertì, nè particolarmente filosofici : sono auguri normali.
    bacibà

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