Stanotte mi sono regalato un sogno molto lungo: l’intera notte in una storia unitaria, tessuta di passione e di quotidianità, con la politica al centro, come avrei voluto fosse per me cioè fatta di persone e di ragioni. Era il sogno d’un viaggio, bello e stancante come tutti i viaggi, insostituibile come tutti i sogni, privo di vincoli ed al limite del verosimile, un viaggio in cui si poteva discutere e capire, vedere la vita in mutande oltre che paludata. Il sogno sembra altro da noi, ma forse non si possono sognare sogni diversi da quello che si è davvero. Al risveglio, pensando al sogno, a quanto accade a Firenze, alla mia vita politica, ho capito che quando mi sono autorottamato non sono uscito dalla mia storia, ma l’ho continuata.
Chi ha fatto politica sul serio, sa che è cosa difficile l’uscire, che la voglia di far emergere il proprio sapere è incontenibile, che smettere davvero non succede quasi mai, che la droga dell’interesse altrui, dell’essere al centro delle decisioni, del cambiamento non ha dosi terapeutiche. Tutto questo quando non è il potere stesso la droga, l’essere importanti a sé perché si conta per gli altri. Comunque sia la decisione di uscire è difficile, genera domande, rischia di trasformarsi in rancore, di far pensare in modo antagonista, non oggettivo. Lo dico per esperienza personale, anche se non mi sono pentito d’essermi autorottamato. Mettersi in disparte è come chiudere una storia d’amore, spesso peggio, perché la somma di passioni che l’hanno generata, sorretta, alimentata coincide pienamente con lunghi periodi di vita, con l’aggiunta di confronti, lotte, vittorie, sconfitte che l’ hanno trasformata da storia personale a storia pubblica. Il futuro sembra chiudersi in una domanda: che farò? Che significa: come occuperò il mio tempo e chi sarò. La malinconia dei reduci, la disperazione degli sconfitti è cosa diversa dal non essere che provano i messi da parte. E’ per questo che capisco la difficoltà, ma il mettersi da parte, l’autorottamarsi, ha una grandezza verso di sé. Non è un favore fatto a qualche nuovo candidato, a quello che a sua volta farà fatica a mettersi da parte perché sentirà la propria indispensabilità, no, piuttosto è il pensare che si vale comunque, che la vita non si esaurisce in un solo modo d’essere. Ho messo a disposizione un tempo non banale per sentire questa nuova libertà, ma alla fine posso dire di non aver rinunciato a me stesso e di poter agire senza secondi fini. Cosa molto difficile quando si persegue una strategia. Passare dal dovere al piacere del far politica è libertà. Il potersi incazzare illimitatamente senza il vincolo del possibile, della responsabilità collettiva. Il vedere e capire gli errori e non doverli giustificare, è una libertà che il politico non possiede, e che magari neppure desidera, preso com’è dalla necessità, dal compatibile. Per questo lo considero l’autorottamazione un valore per sé, magari la parola è brutta, negativa, ma se diventasse una categoria dell’etica della politica fatta in modo diverso, aiuterebbe a percepire che si può governare senza tempi supplementari e quindi più vicini alle necessità temporali dei governati. La gestione del vecchio in politica, è un problema di tutte le democrazie e non è solo un problema di potere e di ruoli, ma proprio di vite e dispersione delle competenze. Ma dopo Bach la musica non si è fermata e credo sia più facile gestire la fine del genio in politica che nell’arte o la scienza. Forse aiuterebbe sapere fin dall’inizio che finisce, che i due mandati parlamentari o regionali o comunali (10 anni) sono la regola senza eccezioni, che andare in parlamento non ha pensione pubblica, che chi sceglie di governare non può avere una vita morale peggiore di quella dei governati, che non c’è immunità, che si può vivere e fare politica senza essere pagati dalla politica, ecc, ecc. Aiuterebbe, anche se penso che l’autorottamazione sia una libera scelta e che il senso del proprio relativo è fondamentale prima per sé che per gli altri. C’è molto d’altro che si può fare.
Utili e basta, potrebbe essere il nome di una corrente di pensiero politico.
…”Il potersi incazzare illimitatamente senza il vincolo del possibile, della responsabilità collettiva. Il vedere e capire gli errori e non doverli giustificare, è una libertà che il politico non possiede, e che magari neppure desidera, preso com’è dalla necessità, dal compatibile.”
verissimo, e impagabile…per tutto il resto, vedremo.
purtroppo non mi fanno impazzire nè renzi nè tantomeno civati. renzi è al secondo mandato, vedremo se si autorottama…
buon giorno, willy
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Qualche dubbio ce l’ho anch’io Arya, ma dar la buona fede è automatico fino a prova contraria. Diversa è la percezione di quanto avviene. Ovvero: è una rivoluzione generazionale? Allora sarà maleducata, dividerà, farà scorrere sangue metaforico, ci saranno nuovi leader e nuove idee al potere. E’ una evoluzione generazionale? Ci saranno urla e scontri, ma poi la conta e le trattative: quanti deputati da portare a casa col porcellum, quanta presenza negli organi di partito, quante priorità nell’agenda politica dei temi di parte. Bisogna capire quali sono le reali intenzioni, come evolverà, se ci sarà una mente polica, perché finché si procede per raduni e convegni tutto è utile, ma poi c’è il momento della verifica. Allora ci si può schierare, scegliere. La mia libertà politica non è nell’uscire dalla necessità di cambiare, ma nell’impegnarmi in quello che facilita o realizza le idee di eguaglianza, solidarietà, esercizio della libertà. Farlo senza i vincoli delle cariche mi rende stranamente più fiducioso, è questo che troppo spesso manca quando sei nomenklatura.
Comunque è bello anche sentirsi dentro qualcosa che da segni di vita.
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Mi faccio aiutare da un notissimo filosofo (ora un po’ in disgrazia, ma quanto mai attuale).
“Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalle tradizioni.”
“Innata casistica dell’uomo, quella di cambiare le cose mutandone i nomi! E di trovare un sotterfugio per infrangere la tradizione rimanendo nella tradizione, laddove un interesse diretto abbia dato la spinta sufficiente.”
“L’ideologia dominante è sempre stata l’ideologia della classe dominante.”
E’ politica questa? E’ visione del mondo? Io penso di si. La penso così da sempre, e anche altre cose. Tutto è politica a meno che, come diceva Aristotele, non siamo dei o subumani.
Insieme a questa scorrono le modalità d’attuazione di questa: con i partiti nelle istituzioni, con l’intervento culturale alla don Milani ecc…
Noi scegliamo il contenuto e le modalità della nostra politica. Poi le uniamo e le confrontiamo. Non penso di perdere nulla nel fare ciò, anzi, penso di acquisire calore. Il famoso percorso verso l’ominizzazione di Teillard De Chardin. Qui, in terra.
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Condivido molto, anche l’evocazione di Teillard de Chardin, l’antropologia dovrebbe insegnarci a come essere davvero uomini e non caricature d’ominidi e la socializzazione con la sua potenza è cosa ben diversa dalla omologazione.
Nel farsi storia propria, e non solo storia d’altri, pur essendo con gli altri. Nelle vicende di questi giorni non sento alcuna grandezza e il senso del disgregarsi è prevalente, spero. E come chiunque speri mi lascio prendere dall’inconosciuto, quello che genera lo stato e l’uomo nascendi.
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