si, viaggiare

Viaggio sempre più spesso da solo. Non mi pesa, devo solo regolare i tempi con la stanchezza. Stanotte ero tra i monti della Barbagia: ho incontrato 4 auto in 70 chilometri. Il viaggio era iniziato con un’ immersione nei verdi e nei marroni d’autunno, masse di colore nella luce diffusa del pomeriggio; si respirava una solitudine da assenza, come se l’uomo se ne fosse andato da poco. Al ritorno, il bujo senza luci rendeva i volumi delle rocce e degli alberi, compatti, l’auto seguiva la strada e i suoi fari, era semplice: bastava lasciare che si accordassero pensieri e guida. C’è equilibrio in questo assecondare movimenti e pensieri, la malinconia o l’allegria scompaiono, basta non opporsi ed il ritmo trova l’ accordo. Apprendere la morbidezza che abbiamo e la guida diventa un dettaglio, le emozioni covano quiete. Non mi sento solo in questo andare, magari un po’ orso, mi da fastidio quando mi viene imposto ciò che non cerco, non le mie scelte. Almeno non sempre. Segno degli anni. Ma forse è conseguenza del distacco consapevole  tra ciò che si può essere e ciò che abbiamo lasciato da parte in attesa. Si riordina la vita, la misura cambia, anche il bisogno d’essere assieme.

Le curve, il lago, la notte densa. Guardo. Ad ogni scollinamento, paesi si stagliano sullo sfondo: Macomer, Nuoro, frazioni, casolari, macchie di luci a mezza collina. Ma è la litania musicale dei nomi dei paesi che attraverso che mi risuona come un mantra: Ottana, Orzai, Tiana, Ovodda, Ollolai, Teti, Austis. Nel pomeriggio coglievo i resti di costruzioni, qualche nuraghe. Dopo un attimo geologico le pietre tornano ad essere pietre: quelle accatastate dall’uomo si confondono con quelle  spinte dall’immane cozzo dei continenti e giacciono accanto, frantumate dalle sequenze di sole, pioggia, gelo. Tutto acquista un posto, una ragione, ed è buffo pensare che non c’è senso, solo continuità.

Guido e passo accanto al campo della tosse, non gioca nessuno, solo caldo e qualche folata di scirocco. E’ sera ormai. Le finestre cominciano ad accendersi, sono ancora aperte, la notte le farà chiudere. Se mi fermassi sentirei il profumo di minestra, ma sarebbe lasciare entrare il mare del vissuto nella diga del presente. Seguire la strada, accordare i pensieri: non c’è nulla che si ripeta, non c’è nulla da ripetere. Ogni volta è nuovo, ogni volta il presente manifesta i suoi diritti sul passato e confina la solitudine. Già. La solitudine è il passato che prende alla gola il presente. Una rissa di tempo in cui si soccombe. Basta accordare i pensieri e la guida. La strada, le curve, sinistra, destra, sinistra. Come un ballo. Canticchio ad alta voce, seguo un pensiero, la strada, guardo, sorrido, guido.

 


 


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