L’odore della Cina, è l’odore della necessità. Promana dagli abiti a pochi euro, dalle plastiche dei giocattoli e degli utensili. E’ l’odore del riciclo mal fatto, dell’apparenza mal riuscita. L’etichetta dice 70% seta, 30% cotone, ma nè il cotone, nè la seta hanno questo odore. L’ho trovato ovunque in europa, questo odore della necessità. Nei mercatini moldavi o polacchi, in paesini dove il fango si toglie sulla soglia di casa con i ferri infissi sulla soglia. Mi ha inseguito in Francia e in Germania, tra formaggi, salumi e birra cruda nelle bancarelle delle sagre. L’ho sentito in sardegna e in puglia, in negozi immersi in luci vivide, talmente spogli e pieni di merci accatastate da respingere il cliente.
Rifiuto questo odore, non il pensiero di ciò che ci sta dietro. Capisco che tra i pochi benefici della globalizzazione, c’è la crescita di chi moriva di fame, ciclicamente, a milioni, ma questo odore è il marchio della povertà che ci insegue dentro le case.
Il vero salto di qualità per il mondo dell’economia, del denaro, quello che da sempre non puzza, sarà togliere l’odore da ciò che si compra, riconsegnare la merce alla sua dignità di manufatto dell’uomo per l’uomo.
parole sante!
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Pare facile, Willy.
L’ex povertà, che forse non è ancora del tutto ex, ha prodotto roba dozzinale e scadente. L’odore della necessità è un altro discorso.
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