Mi pareva di dire cose intelligenti, ma non ne ero ben sicuro: seguivo i pensieri. Lo faccio anche adesso, sempre più, come quelle persone che parlano da sole, per strada, solo che io rispondo quasi a tono. In questo modo di comunicare, mi sono accorto presto che i bisogni altrui erano molto più terra-terra, con domande semplici, risposte precise e senza subordinate. Non avevamo quasi mai le stesse letture, neppure lo stesso umorismo, nè il senso del paradosso o la conoscenza del vocabolario. Anche gli interessi divergevano. Ma soprattutto non avevamo gli stessi pensieri. Ho messo un bel po’ a capirlo, chiara testimonianza d’ un intelletto non acuto.
Vivere in disparte nello stesso treno permette di partecipare della storia e, pur non essendone protagonista, di capire con i tempi appropriati. A se stessi, naturalmente. Soprattutto permette di pensare ad altro e di curarsi d’una semplicità personale che rappresenta l’ingenuità più raffinata ovvero l’impressione che ci sia qualcos’altro da dire. Ma in realtà non c’è nulla da dire in più, perchè tanto non verrebbe capito. Provo ad esemplificare: un giorno stavo spiegando il mio interesse per la riproduzione del suono. Come tutte le cose che ho frequentato, era un interesse senza definitività, mi piaceva pensare che qualcosa si avvicinasse al vero e che quell’avvicinamento fosse progressivo, fatto cioè di componenti in equilibrio, ma al tempo stesso, incrementanti. In quel periodo si adoperava spesso una espressione: stato dell’arte ed indicava un insieme di numeri che fatalmente sarebbero stati superati di lì a poco da apparecchiature più avanzate tecnologicamente. Bene, stavo parlando di questo interesse, delle apparecchiature e dei brani musicali che ascoltavo, dei dischi, della collocazione spaziale, quando mi accorsi che al mio interlocutore la musica non diceva nulla e che, al pari di Goethe, la considerava un disturbo quando impegnava troppo. Ma non era un filosofo, nè tantomeno un meditativo, era una persona comune che ascoltava per cortesia e si meravigliava nei punti sbagliati. Mi fermai e dissi che la settimana successiva sarei andato ad un concerto, col nome del cantante, la sua attenzione divenne massima. Mi subissò di domande sui biglietti, il posto, l’attesa, mi parlò della sua esperienza, di quanto gli piacesse e di come ogni concerto fosse impresso nella sua vita. Dal mio silenzio traeva nuovi motivi per dire ed invidiarmi dell’occasione, l’unico motivo per cui non gli regalai il biglietto fu la sua scarsa attenzione precedente che m’aveva un po’ offeso. Anche a distanza di tempo, quando ci troviamo, usa il grimaldello del cantante per riprendere il filo e chiede di me, della mia attività, delle mie passioni. Rispondo reticente, oppure parlo leggermente d’altro ed il suo interesse aumenta. Credo mi consideri intelligente perchè riconosce in me un tratto di sè. Una cosa che neppure ho. Il mio interesse per l’alta fedeltà è scemato, anche quello per quel cantante, mi guardo bene dal dirgli cosa ascolto. E soprattutto quanto ascolto, ancora una volta non capirebbe, sporcherebbe una passione di disinteresse.
In un libro, in un film, in un interprete, abbiamo bisogno di identificarci, di sapere che siamo diversi, ma in fondo un poco eguali a chi ammiriamo. Sono le manie dei grandi, le cadute di stile che li portano alla nostra dimensione ed il virtuosismo, l’intelligenza somma, ma limitata viene ricondotta nell’alveo del confrontabile. Come quando vogliamo riconoscerci nel protagonista di un libro, ma se questo diverge troppo da noi, man mano lo sentiamo distante e ci passa la voglia di leggere, le sue vicende diventano noiose, il mondo in cui vive, insulso. Questo processo di mìmesi, ad un certo punto me lo sono precluso, ed adesso parlo d’altro sbagliando interlocutore, finchè mi accorgo di ascoltare la mia voce. allora mi annoio e smetto.
E da questo silenzio gli sguardi si avvitano su di me, diventano interrogazione, finchè riprendo il discorso con qualche frase che cerca la fine formale. Ma non c’è calore, non c’è più nulla che m’interessi comunicare, solo finire e andarmene.
Ah, dimenticavo. Qualcuno ha detto che ero sensibile. Sensibile a cosa?
Così generico non è vero, ma non importa.
n.b. perchè ho scelto questo brano? si attendono suggerimenti
MANNAGGIA A TTE,WILLY!
Avevo rimosso “volutamente” insieme all’Alexander Nevsky,questo”Tenente Kijè” Per me è stata l’ultima battaglia “gloriosa” di un ciclo che sapevo si sarebbe concluso definitivamente e senza possibilità d’appello.Ricordarlo anche senza ascoltarlo ha rappresentato “per me” una forma di crudele intelligenza artificiale,quindi lascio solo un silenzio “intelligente”! Bianca 2007
"Mi piace""Mi piace"
puoi sempre cantarlo per gli amici, Bianca, non sono indulgenti, ma vuoi mettere una esecuzione dal vivo.
"Mi piace""Mi piace"
CATTIVO SPIRITO,WILLY E
usando un tuo termine “suicidi in pillola filosofale”! Bianca 2007
"Mi piace""Mi piace"
“ho perso il senso di quello che bisogna dire”
senza andare a verificarlo – che a me ste verifiche mi scocciano da morire – è una stralcio di un dialogo di “dopo la caduta” di Arthur Miller. Potrebbe non essere esattamente formulata così la frase (anche se la percentuale di errore è bassa) ma è certo che questo ne è il senso.
Ad un certo punto perdiamo il senso: dell’essere, del darsi, dell’accogliere, dello scambio e questo, io credo, perchè resta sempre in superficie, un contatto di pelle e mai uno scambio di organi primari.
Che se poi ci penso, in parte quel che scrivi è quasi ovvio: io vengo a te, ad esempio, ti so e sento oltre me, colgo la tua intelligenza, la tua capacità d’analisi, la tua ricchezza, ma per “impossessarmi” di te debbo ridurti ad una misura mia… e non è più te che voglio ma solo la parte di te nella quale mi ritrovo… il resto mi crea quasi un problema perchè mi dà la distanza da quel che sono a quel che sei ed allora non sono più niente.
non smetterò mai di ringraziare il cielo – e con me tutte le persone che mi sono vicine – per non aver fatto studi umanistici: sarei ancora più semplicemente complicante di quanto non sia così :-DDD
quell’abbraccio
che è l’unico modo per attraversare l’epidermide
"Mi piace""Mi piace"
“non c’è più nulla che mi interessi comunicare” dici. Posso essere franca? Non ci credo.
marina
"Mi piace""Mi piace"
Hanno ragione sia Marina che B. 🙂 In realtà mi interessa comunicare, altrimenti anche questo canale si sarebbe chiuso, come pure è vero che il limite della comunicazione con gli altri lo stabiliamo noi, nel senso della misura del lasciarci coinvolgere e mutare: è la linea del compatibile per restare noi stessi.
Ultimamente nei commenti spiego ciò che ho scritto, questo non è bene. La chiarezza dovrebbe essere nel testo, oppure non dovrei curarmi del venire frainteso. Ci sto riflettendo su questo sintomo -perchè tale è- e di cosa sta accadendo. Pur immaginando che interessi fino ad un certo punto, metterò a disposizione il risultato.
Il limite di non aver fatto studi umanistici, ed è il mio caso, si riflette in una scarsa attenzione alla forma, in un periodare che segue la testa e non la grammatica e credo, anche in una scarsa chiarezza come dice B..
Ma io Lei la capisco.
"Mi piace""Mi piace"
non volevo dire che non sei chiaro!
un po’ contorto forse ma anche io a Te Ti Capisco (e mi piace anche giocare con la grammatica) e a Me Mi Piace eheheheh
volevo dire molto più banalmente: ma te le immagini le seghe mentali con più filosofia?
commentare i propri post.
credo sia quello che mi ha… (posso scrivere alla bukowski qui da te?… si, dai, permettimelo in questo caso)… quello che mi ha “fottuto”.
commenti i tuoi post, dici qualcosa in più, per spiegarti o solo per il piacere di approfondire oltre e chi ti legge si appropria di te un poco alla volta, si permette di credere di aver capito Te.
C’è nelle persone – non in tutte ma in molte – la presunzione del sapere e capire ed anzi, peggio, la presunzione del giudizio.
oh mamma, come sto messa anche questa mattina di sole e di ore che non so che ore siano.
"Mi piace""Mi piace"