Il 12 dicembre a sera, c’ero e non c’ero. Capivo e non capivo. Sentivo che era bello correre, ma non sapevo dove andavo. Qualche giorno prima la bomba in rettorato, dopo un pomeriggio di occupazione dei cortili amati, ma eravamo tornati a casa, in facoltà a rioccupare: provocazione, fascisti, nessun ferito. Questo contava in fondo e poi rientrava nel mondo comprensibile, quello che si poteva governare con maggiore attenzione, vigilanza. Non ci si ferma per questo, è il ’68 che continua, che vincerà. Poi la staffilata di Piazza Fontana e della banca del Lavoro a Roma, 5 attentati in meno di un’ora ed allora non capii più: s’era alzato il livello dello scontro e ciò che pareva una felice macchina verso il cambiamento s’era scontrata con un muro spuntato dal nulla. In questo paese, in cui tutto era tragedia e operetta e quindi si poteva sconfiggere con un’alzata di spalle e un birignao, qualcosa di serio, di tremendamente serio aveva messo la testa fuori dalla terra. L’orrore di questi corpi che uscivano dalla tenebra, del camminare in mezzo a loro, poteva essere curata solo credendo che si potessero sconfiggere, che l’orrore avesse fine e il mondo tornasse ad un equilibrio. Almeno un equilibrio, se l’armonia non era possibile. E poi quegli Inconsapevoli, primi di troppi altri, che un fato aveva messo assieme in quel posto, a quell’ora, avrebbero trovato almeno pace, se non ragione, nel loro morire, se ci fosse stata una risposta. Invece non è accaduto e le domande senza risposta e le risposte messe assieme senza processi conclusi hanno generato ancora morte, disperazione, arretramento. Solo la verità spinge avanti, cambia le persone e il mondo in cui vivono. Ma a che serve saperlo se questa verità non è stata data? E deviata e perduta è divenuta peggiore di ogni menzogna. Chi accetterebbe di vivere bene nella caricatura del vero? Nessuno, ma così è stato, e c’era chi rifiutava, non capiva. Tra tanti indifferenti, vedeva e non capiva, mentre il paese smottava, tra silenzi e nuovo sangue. Ora c’è calma, perchè non c’è pericolo di verità, te lo sei mai chiesto se non è per questo?
n.b. per chi volesse qui c’è una pagina di Pasolini che come tutti i poeti profetizza il vero e lo rende terribile nella sua essenzialità di scelta. http://www.nazioneindiana.com/2009/12/12/photoshopero-io-non-dimentico-12-dicembre/
caro Willy, ricorderai che ho riscritto poco tempo fa a proposito della necessità di accedere alla verità per poter giungere a conquistare una memoria condivisa.
E’ un tema che sento molto, che mi fa soffrire: sento la mancanza di verità come un sorpruso, una negazione silenziosa dei diritti civili.
Pochi giorni fa ho sentito in televisione Franco Cardini, uno che stimo molto e che non è certo tacciabile d’essere un sinistrorso, parlare del tema; Cardini ha esposto una tesi molto vicina alla mia sulla necessità di sapere per poter accedere alla memoria condivisa, al senso di appartenenza collettiva.
Eppure…siamo qui a ripeterlo invano e tu sei qui a scriverne per l’ennesima volta.
Eppure ci fa male, Willy, ancora, tanto.
In occasione dell’anniversario della strage di Piazza Fontana Rai Storia ha trasmesso la replica di un’inchiesta assai ben condotta che era come una coltellata per la coscienza civile: la sensazione di quanto spessa sia stata e sia tuttora la connivenza tra l’ufficialità di alcune parti corrotte delle istituzioni e gli esecutori- invasati e criminali quanto basta- delle stragi è roba che ti ustiona sempre, che ti rimanda con il pensiero all’America latina dei golpe.
Così, se da una parte ti risolleva pensare che nessun Cile o Argentina o che so io ci è toccato in sorte, pure pensi a quanto ci siamo andati vicini e, soprattutto, a quanti, mandanti e sicari maledetti, se la sono cavata e magari prosperano…magari all’ombra di nuovi protettori…più esperti ed abilmente dissimulati ma pur sempre fascisti.
Fascisti sì, la parola per dirlo.
Non so più cos’altro aggiungere
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