trittico sulla vecchiezza II

Amico caro, ti avevo annunciato che avrei messo i piedi nel piatto dell’età e allora partirei dai temi che archiviamo in fretta nei nostri discorsi. Così fai  quando parli dei pochi anni che restano e  scherzi facendo trasparire un desiderio e una paura. La paura è quella della morte. O meglio la paura delle malattie dei vecchi che invalidano e tolgono progressivamente la vita. Hai presente l’ossessione del cavalier B.?  La potenza fisica, le capacità di movimento, l’intelligenza, la memoria e dover dire che si ha tutto come a 20 anni per i prossimi 50. Ma resta l’onere della prova in una dimostrazione giornaliera di efficienza per essere ciò che non si è: anagraficamente vecchi, però giovani nelle attività e nei tratti. Quando vedo miei coetanei che si sono imbalsamati tra i 40 e i 50 anni, non colgo differenze con la tristezza degli sfatti allegri, quelli che non si governano e hanno deciso di dimenticarsi tra alcool e mangiate. Entrambi non sostengono più l’identità e la dignità di essere. Noi più semplicemente, cerchiamo di giocare con la paura di cadere in qualche trabocchetto dell’età, di scivolare nell’alzaimer che ci rende presenze vuote, oppure di entrare nel girone infernale delle malattie coscienti e impronunciabili. Tutti esorcismi e la morte semplice, quella fatta del disporre di sè diviene un desiderio. Magari da collocare più avanti possibile, ma un desiderio di concludere bene. In fondo ci sarebbe dovuto, per le nostre colpe veniali, per gli impegni senza ignavia, per l’entusiasmo che abbiamo messo in tutte le cause perse frequentate ma anche per la pochezza delle vigliaccherie e le fughe fatte più per paura che per salvarsi. Molti coetanei fanno consuntivi, ti dicono: mica per essere finiti. No, solo per un budget veritiero. Altri e ci fanno più male, se ne vanno senza dire, per stanchezza, solitudine, disperazione. E per loro, come per quelli andati tra sofferenze immani, ci si chiede perchè. Anche della ragione di tanta sofferenza ci si chiede il motivo e nessuna risposta arriva. Sai cosa fa più male? La sofferenza silente consumata in solitudine, senza sbocchi, nè speranza. Ci si immaginano i giorni, le notti e ci si augura che non ci accada, che tutto finisca di botto, con il solo barlume di capire che davvero è così facile scivolare via. In realtà l’età porta verso il conto con il passato e adesso che siamo ancora in questa età indefinibile, pieni di sogni e di attese temperate,  si dovrebbe, per magia, trasferire un credito sul futuro. Assicurare una rendita in anni vicini al desiderio. Ma lo sappiamo tutti che non è così, sono il caso e la volontà che ci possono graziare e non per sempre. Ho pensato spesso, che si potesse rovesciare il tempo e lasciare che la possibilità non si spegnesse al suo mostrarsi, per verificarla, con generosità,  senza curarsi del resto. Tu sai, che tutto questo è sconsiderato, ma come vivere una vita regolata dalle certezze e pensare di vivere davvero? Alcune certezze ci sono indispensabili: amore, affetti profondi, relazioni, libertà d’essere e d’intendere, l’avere un senso a sè e magari anche agli altri. Se non ci sono grandi problemi economici, tutto questo dovrebbe consentirci di parlare anche delle paure e della morte, di ciò che accade attorno a noi. Ma parlarne come di un processo dinamico e non come di un muro contro il quale sbattere incoscienti a tutta velocità. Il tema etico del fine vita, emerge in questi anni e ha più consistenza: la libertà del finire come si desidera, la vita non come condanna, ma possibilità positiva. E’ una considerazione che dovrebbe portarci alla consapevolezza e togliere la paura. Ma non è facile e soprattutto bisogna scegliere un percorso che eviti i cronicari, gli ospizi, gli odori di minestre e orina, i discorsi senza memoria, i giardini con le cancellate e i mobili di melamina. Voler vivere a casa propria, finchè si vive. I nostri vecchi lo sapevano e nell’oscura necessità di convivenze tra famiglie assicuravano il passaggio, circondati da persone care. Lo so che succedeva anche il contrario, che la gente si sbranava davanti all’agonia, ma quando c’era rispetto per la persona, ovvero si aveva ben seminato, le cose erano più dolci. Naturali e senza accanimenti. Noi apparteniamo alla generazione che detiene il potere, gestiamo vite, vietiamo ai giovani di crescere, eppure le paure non le abbiamo eliminate. Ti ricordi di quando parlavamo di villa arzilla tra discorsi e vino rosso, pensavamo ad una convivenza tra persone che si conoscono e che bevono e parlano bene assieme. Badanti di noi stessi, plagiati dal mito di Amici miei e della Grande bouffe. Ma non funzionerebbe, amico mio, dopo poco ci staremmo tutti sulle scatole, in realtà la nostra risorsa sono le relazioni tra noi, il trasmetterci entusiasmi e positività; questo serve e non altro. Non siamo abituati a minestrine, ma forse la cosa che dovremmo  evitare è l’essere prigionieri dell’insofferenza, dei modi di dire, delle abitudini senza appello o della supponenza di aver capito già tutto. In realtà, e lo sappiamo entrambi, siamo degli ignoranti abissali e aver voglia di apprendere è già sintomo di futuro, ma non ci basterà, come non basterà il cinema, i libri, la musica. Dobbiamo investire in affetto quando l’egoismo diventa più forte per la preoccupazione di sè. In comunicazione quando pare ci sia poco da dire di sensato e nuovo. In pazienza quando le nostre urgenze sono solo desiderio di attenzione. E soprattutto dobbiamo convivere con la persona più difficile che conosciamo: noi stessi. Ma la consapevolezza non è una diminuzio, abbiamo chance notevoli da giocare, e magari ne parliamo la prossima volta. 

3 pensieri su “trittico sulla vecchiezza II

  1. MOLTO REALE E UMANO
    è questo secondo post che hai fatto sulla vecchiezza.Bello e consapevole.Aggiungo solo che,”vecchiezza” non è un disonore se se nè può parlare con l’infinita dolcezza di un AMORE ADULTO che conosce,difende i suoi sogni ridendoci un pò su,ascolta quelli dell’altro che ancora restono ostinati e convinti,gli accarezza le mani che tremano ridendoci su perchè anche le sue tremono decise a non lasciarsi andare per sè per due unite in una sola tenera stretta di autocoscienza che sa d’aver piantato un albero che, forse, solo altri ne vedranno la crescita con rami foglie frutta.Un abbraccio,Bianca 2007

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  2. in questo mondo abitato da automi senza età pensare vecchiezza e morte corporale con lucida delicatezza è quasi un lusso intellettuale.
    qualcosa da concedersi con voluttà e da centellinare.

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  3. Con “l’ultimo tabù” bisognerà farci i conti, prima o poi. Fa paura il momento del passaggio, ma poi, sia che i trapassati trovino ad attenderli qualcuno che avevano avuto caro in vita, sia che svaniscano nel nulla

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