dizionario interiore: i comunisti

I comunisti erano carichi di speranza, volevano cambiare il mondo e cominciavano da ciò che stava loro attorno: sè stessi, i rapporti nel lavoro, il cortile di casa, il quartiere, il comune dove abitavano. Pensavano in grande, nel contesto internazionale, come si diveva allora, ma facevano nel territorio. Pensavano per certezze perchè la fede e la speranza non si nutrono di dubbi e relatività. E per capire dovevano leggere, studiare con armi della critica spuntate dai destini più alti dell’idea che metteva da parte i dubbi e le evidenze. L’Unità, diffusa la domenica mattina, ha compitato il pensiero di milioni d’italiani, li ha costretti ad uscire dal semi analfabetismo imperante, vera arma del fascismo e della destra e li ha tolti dal mutismo. Al bar, in piazza si poteva alzare la voce e dire noi, ed avere ragioni insperate, una dignità prima negata. Così le imprese del socialismo erano le imprese di tutti, la dimostrazione pratica che quella era la strada giusta. Solo un problema fu evitato da chi sapeva, ed era la necessità di accettare un confronto che facesse crescere anche l’avversario, che portasse l’intero paese su basi comuni da cui non retrocedere.

 

Non è accaduto e una parte degli allora comunisti, hanno ristretto il  noi al territorio, alla lingua, al povero benessere senza contenuti, nè felicità.

5 pensieri su “dizionario interiore: i comunisti

  1. I comunisti erano anche quelli che plaudivano agli eccidi dei dittatori come Stalin. E che leggevano l’Unità.
    Personalmente ho sempre avuto rispetto, e sempre ne avrò, per tutti quelli che professano il loro credo politico con convinzione e buona fede.
    A destra e a sinistra.

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  2. Mi piace molto quel”povero benessere senza contenuti e felicità”, mi sembra il punto se non di tutto di molto di quanto hai scritto.
    E’ vero, il benessere senza contenuti, e qui aggiungo di mio “senza qualità”, ha ottenebrato le menti di troppa gente, compresa quella che non ci saremmo mai aspettati di vedere a mente ottenebrata, appunto.
    Pensare in grande guardando al piccolo, inteso come vicino a noi, ecco cos’è mancato, ecco l’equilibrio che non s’è saputo creare.
    Oggi molti sperano più che pensare in grande, in un ambito piccolo ed egoista, privo di progettualità vera, a lungo raggio .
    In qualche modo è come se la tecnica del successo/risultato immediato avesse invaso le ragioni della politica riducendone la portata ideale e la progettualità in ambiti ristretti, sia da un punto di vista territoriale sia sotto il profilo delle aspirazioni.
    E io non saprei dire da dove si dovrebbe ricominciare…

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  3. Enne: ricordo i plausi a Stalin non agli eccidi., ma nessuna giustificazione. Mai. Come non è giusto sovrapporre vite che hanno tratto quello che avevano per donarlo agli altri, con chi si è appropriato di quel dono. Parlo dei diritti di cui tutti fruiamo, dal lavoro alla libertà. difficile per chiunque dire che senza tante persone che credevano fosse possibile cambiare la società ci sarebbe così tanto spazio per le storie personali. Sul rispetto concordo, sulla condivisione degli ideali e delle politiche e sulle marmellate nò.
    Tereza:viviamo in una società additiva, e i vestiti, anche ideologici si sommano, nascondendo ciò che c’è sotto. Si pensa che star bene sia avere cose, fare ciò che ci viene chiesto per divertirci, far finta che ci siano contenuti collettivi nelle storie individuali. Oggi le parole ce le possiamo mettere in tasca, ma nel cuore e nel cervello è difficile. E se la politica fa quello che dovrebbe fare, cioè mantenere una promessa, è un successo, non la normalità. Si è abbassato il cielo e lo puntelliamo con i bisogni giornalieri e tanto basta.

    Minnie:chi si dissociò non smise di credere e l’unità è un bel giornale di parte. il fatto che lo faccia una donna, dà fiducia sul disinteresse personale che lo accompagna

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