pensiero lineare

Avviso ai naviganti: astenetevi dal leggere, fa caldo, ci sono cose importanti che girano per l’aere e se continuate lo stesso non ditemi che non vi avevo avvisati.

Comincia con qualcosa che suona bene, dev’essere un pensiero solido, un pezzo di ossidiana senza dubbi, ad esempio: polemos è padre di tutte le cose…  Messo li, senza oggetto, il pensiero è un soprammobile, carino, ma inefficiente. Cerchiamo allora di appiccicarlo a  qualcosa che accade. Se il pensiero è generico, è come l’elastico del tanga: esiste, ma non c’entra col contenuto, se invece si lavora con un pensiero specifico, allora non tutto va bene. Rapido giro in testa per capire a cosa serve questo pensiero contenitore, finchè s’accende la luce verde: la crisi attuale dell’economia. Qui la cosa si complica, perchè dal retrobottega emergono considerazioni sul pensiero marxista, che aveva previsto la crisi come elemento intrinseco al capitalismo ed aveva mutuato da Smith, il collasso. Fin qui bene, ma da questa crisi, come da quella del ’29, il trionfo del proletariato non emerge ed allora il pensiero lineare caccia queste nubi che oscurano il sole del pensiero madre: Marx non c’entra, ovvero c’entra, ma è meno solido di quanto appariva. Diciamo che il vero che non è uguale a quello che pensava lui per un inezia, e se l’alienazione c’è, la merce e il suo tronfo pure, l’uomo è sempre più economicus e materialista, è il proletariato che si ribella alla possibilità di essere egemone. D’altronde mica mona ‘sto proletariato, è una fatica essere egemoni: meglio servi che padroni.

Polemos, è questo ora il disinfettante della sinistra? Polemos che è una guerra vera, combattuta con altre armi, che non sono gli eserciti e neppure la diplomazia. Polemos che si propone in nuovi teatri dicendo che i conflitti veri dei giornali sono poca cosa rispetto alla sua nuova guerra. Il pensiero sdrucciola sui segnali, ad esempio il pil a -5.5 e i consumi a – 2.5, la vita quotidiana si finanzia con i risparmi precedenti. E’ un’economia di guerra, ma non ci sono morti visibili, nè scontri apparenti. Gli stati stanno finanziando chi ha provocato il disastro con il debito pubblico e stampando moneta, ma chi produce e consuma viene lasciato a se stesso. E’ una economia di guerra. Conta vincere, non contano i debiti, le perdite, chi resterà per strada, pagheranno i nipoti che esisteranno solo se vinciamo  altrimenti saremo preda del disastro. E polemos spazza via tutto, ma a modo suo con cocci di bottiglia disseminati ovunque. Quel poveretto del pensiero lineare ripiega sulla visione di un immenso Maelstrom che inghiotte uomini, navi, pesci e li porta negli abissi per risputarli su una spiaggia della Cina o dell’India. Detriti sulla spiaggia senza vacanze che verranno raccolti e riutilizzati oppure trasformati in concime da mani diverse. E’ in questo l’essere padre di polemos?

E noi?  Noi siamo dove si separa la calma dalla battaglia, l’orlo del caos. Guardiamo polemos che farà nascere un nuovo ordine, dove Marx avrà un poca di ragione, il capitalismo si vestirà di nuovi abiti luccicanti, il consumo e la produzione dialogheranno con parole nuove, le case continueranno a riempirsi di oggetti inutilmente complicati e poco costosi.

Da queste considerazioni il pensiero lineare si rapprende in un grumo di consapevolezza: si salvi chi può, solo chi resterà vivo avrà un futuro.

E sommessamente da un angolo della testa emergerà un’appendice di pensiero: la qualità di quel futuro sarà ancora una volta il prodotto del caso per l’attitudine con il segno conseguente.

Un pensiero su “pensiero lineare

  1. Avevi premesso. 🙂
    Mi pare un flusso di coscienza socio-economico: pensieri fra te e te, ma non solo.
    Sai, a volte vorrei tanto che i miei, di pensieri, fossero come l’elastico di un tanga.

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