le transumanze vegetali

Mentre tutto fuori ingialliva, l’aspidistra e le sorelle, non paghe d’un loro verde madido ed arrogante, proprio loro, si dovevano spostare. Dentro, fuori, ancora dentro, inseguendo l’ombra e le stagioni, l’acqua della pioggia e il mezzo sole.

Aiutavo mia madre trascinando vasi e vasche verso luoghi che avrebbero consentito alla vita di proseguire, di doppiare l’estate veleggiando trionfalmente nell’autunno. Poi il cammino si sarebbe invertito, con transumanze vegetali, per piante in vaso senza ambizioni eccessive. Come i canarini, anch’essi di giorno all’esterno, nella gabbia, ché della libertà non avrebbero saputo che farne e già al principio della notte, finivano al bujo per impedirgli di cantare. Dormire e cantare, come lavorare ed andare in vacanza. Non avevano bisogno d’ una vita nuova, di una libertà poco cercata e così piena di paure.

Le vite che avevo attorno, erano come quelle piante: si spostavano tra interno ed esterno, seguendo le stagioni. E tutto per conservare una vita già avvizzita nelle abitudini, senza crescita,  inesorabilmente spenta nei discorsi ripetuti.

Ma io potevo muovermi, restare in città d’estate, nuotare nel fiume, leggere, parlare e fumare di notte. La fatica dello spostarsi dalla transumanza dell’abitudine si sarebbe mutata nel brivido dello sconosciuto, del nuovo.

Iniziava allora, la vita da scegliere: dentro, fuori, mai immobile, finalmente libera dalle stagioni.