trincea

Migliaia di uomini gettati l’uno contro l’altro. Non esistono passioni complesse, o migliori, quelle persone, quei contadini sentivano come noi. All’assalto o a difendere è stato usato il possibile, la vita durava il giorno e venivano spinti a camminare sull’inferno. I soldati si suicidavano prima dell’assalto, i morti restavano nella terra di nessuno, così i feriti che urlavano finchè morivano,  circa il 40% dei soldati di prima linea fu ucciso, i feriti furono il 60%. Se si scindono le singole vite dai numeri lo sgomento, il dolore prende alla gola.

Come allora, questa terra è grassa, nera di sterco di vacca e di maiali. I fiori selvatici ci crescono volentieri. Come allora. Se noi non esistessimo, non cambierebbe nulla, se non fossimo esistiti sarebbe eguale. Appena oltre la trincea, mai espugnata, ci sono tracce delle presenze dei soldati. Pezzi di latta, qualche resto di caricatore: questo era un Mannlicher, questo un Mauser. Cercando con attenzione tra i sassi, qualche proiettile. Questo è un Mannlicher, questo un Mauser. Due nomi per definire le parti di chi sparava. Se scavassimo ed analizzassimo il terreno con attenzione troveremmo il sangue dei vinti e dei vincitori. Tutto mescolato, tutto in queste erbe e questi fiori. Da poco lontano arrivano i suoni dei campanacci, le voci, le risate. Bisogna rimuovere, togliere il sensibile, lasciare il personale e l’esperienza, ogni memoria dev’ essere annullata nel chiuso delle generazioni. A chi importa se allora si sono spente possibilità, trajettorie vitali, un mondo possibile, una generazione. Quello che è venuto dopo era il mondo dei sopravvissuti, che avevano un unico problema: rimuovere quanto davvero accaduto. E il perché loro erano vivi.