il “gruppo”

In uno di quei viaggi lunghissimi in auto, senza pensarci troppo, gli chiesi:

 ma tu pensi di essere generoso?

Stette zitto per un poco. Da un amico si accettano anche domande di questo genere, eppoi s’era abituato a me, alle mie bizzarrie.

Rispose:

No, non credo di essere generoso, anzi non lo sono.

Seguì una spiegazione su cos’ era la generosità, ed in auto, si aprì una discussione dove ciascuno parlava di sé. Non so se fosse generoso sempre, nelle occasioni tra noi, lo era, e ci sono molti modi di esserlo. Quando qualche giorno fa è mancato, ho capito che non c’era più e già mi mancava quello che dava.

Cosa mi manca lo scoprirò.

Quando in chiesa ho detto che era uno di noi, guardavo i visi, gli abiti gessati, le cravatte. Parlavo di un noi disperso in spa o srl (di proprietà o meno), di un noi generato da un angolo fatto di mestieri affini. I professional (si usa questo nome, che lo si sia o anche no), li erano tutti più o meno così e lo avevano conosciuto, magari avuto come maestro, socio, amico Esiste un noi senza identità e solo allora ho pensato alla sua grande solitudine. Qui siamo davvero tutti soli e si aprirebbe un ragionamento ampio su ciò che cerchiamo, perché in certi ambiti non si smette mai di lavorare, perché si continua a stare fuori da qualcosa o qualcuno, pur sapendo che è nostra vita. Non lo farò adesso, ma è vero che tra persone ci si riconosce, anche se si è diversi, anche se non si appartiene al gruppo, anche se si lavora assieme e si mettono le regole. Io mi ritengo diverso, non appartengo, non voglio, eppure in quest’acqua ci devo nuotare. Lo si può fare restando fuori, ma un pezzo dentro c’è sempre. Ed essere chi si è davvero, è difficile, non basta a volte dire all’altro, con il sorriso sulle labbra, che è un figlio di buona donna perché ci sta fregando un lavoro oppure non divide equamente, o non ci paga e l’ha sempre saputo, o per raccontare il fastidio per il retrobottega di un mondo che sarebbe pure affascinante, o … E gli o si sprecano in questi ambienti. Lui, però era un amico, la diversità mia ci poteva stare, accettava e così avevamo lavorato e stavamo lavorando assieme, da società diverse, sapendo che era la vita che contava. Delle vite professionali mi interesso solo sul lavoro, ma in questi giorni mi sono chiesto, che significa appartenere ad un mestiere, fare consulenza, entrare nei processi pensati da altri. Significa appartenere ad un gruppo di sbandati inconsapevoli a successo variabile, con curricula di grande lunghezza, esperienze disparate, clienti un tempo importanti? Oppure essere una somma infinita di alti e bassi, di speranze deluse che si rinnovano ogni volta e che sopravvivono in un mondo piccolo in cui il successo conta e tutti sanno di tutti? Credo significhi anche sapere cosa ci sta dietro al successo, sapere che restare puliti è una fatica per alcuni, una condizione imprescindibile per altri, significa muoversi in terreni in cui si mescolano competenze altissime e fuffa, vendere oro e ghisa tutto allo stesso prezzo, puntando a quello dell’ oro e poi accontentarsi di quello della ghisa. Significa saperlo e magari porsi qualche domanda, ma non accade spesso, il sistema di valori, il raccontarla per proporsi e vendere risultati toglie le domande e, mi pare, isoli molto: in questi luoghi si è soli.

Che significa in questi ambienti essere generosi? Credo sia rispettare un amico, rinunciare a qualcosa che si potrebbe prendere (prendere non è casuale), pensare che il rapporto umano valga qualcosa di più del contratto. Si parla molto di etica, di deontologia, di morale, a volte di responsabilità sociale, da queste parti, quasi fosse una patente di correttezza, ma esiste un modo per vedere questi contenitori di regole, al di qua della linea di limite, attribuendo significati personali. Quando si superano i confini, non è che uno non appartiene più al gruppo, può rientrare, fa parte del gioco e qui sta la difficoltà di dire che si appartiene. Si appartiene perché abbiamo abiti simili, gusti simili, mangiamo e beviamo cose che si assomigliano? Perché partecipiamo agli stessi congressi, mostre, fiere ? Oppure questo è solo il recinto e la differenza emerge da come ci si comporta, quando si parla di noi, delle nostre vite, degli obbiettivi, dei successi, delle abitudini, e delle delusioni? Credo sia così, che la diversità, e qualche volta l’amicizia, emerga non nella stima professionale, ma nel condividere quei pensieri, quei pezzi di noi che non hanno valore economico, che sono i motivi per cui si vive davvero, con tutte le contraddizioni che ci portiamo dietro. Nell’amico si trovano le nostre domande, i tratti di noi, anche quelli che non amiamo e raramente le risposte. Quelle le abbiamo dentro e se escono, è per verificarle in lui.

Del gruppo, e la parola è quantomai deviante perché non si è mai assieme, si potrebbe fare a meno, ma la differenza sarebbe troppa, in fondo il mercato e il lavoro si accontentano di molto meno del tutto, vogliono cose determinate, parametri confrontabili, prezzi concorrenziali, lamentele uguali e sbruffonerie in bella vista. Per questo esiste il gruppo in cui si vedono i propri difetti esposti, se si riflette si trova anche qualche motivazione e differenza. Da esporre agli amici, naturalmente, perché in evidenza sarebbe la debolezza propria, che verrebbe usata contro di noi. Lui era nel gruppo ed era un amico, come mi mancherà ancora non lo so, mancherà a suo modo, e non potrebbe essere altrimenti.

10 pensieri su “il “gruppo”

  1. Mancano sempre quei “colleghi” o comunque compagni di lavoro che danno importanza alla persona…..perchè sono davvero pochi, sono quelli che si ricordano e rimangono nel cuore. Buon inizio settimana.

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  2. @Cristiana: questo mondo l’ho scoperto tardi, per caso, mi occupo d’altro. E’ il mondo della consulenza sui processi, fatto di grandi società e piccole, piccolissime, tutte concentrate sul vendere la persona. Con Lui eravamo partiti da altro, formazione, e qualche passione scoperta in comune. Poi abbiamo anche lavorato assieme, ma le passioni e la vita contavano di più. Resteranno le cose non dette oltre a quelle che ci siamo scambiati. Grazie Cristiana 🙂

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  3. @In fondo al cuore: sembra strano ma in questo ambiente contano i contatti e le persone sembrano non esistere se non per il costo e l’utilità. Per fortuna con Lui non era così. La mia è una riflessione sull’amicizia e su come vivo e ci si fa vivere, questo viene da una scomparsa, ma potremmo farlo ogni giorno e decidere di conseguenza. Poi ognuno ha le sue ragioni per non farlo.
    Buona settimana a te e a tutti quelli che passano. 🙂

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  4. E mi sovvien B.Fenoglio “Era perfettamente conscio della solitudine,del silenzio,della pace,ma ancora correva,facilmente,irresistibile”.
    e, ancora A.Gatto “Fummo comunisti per orizzonte,per latitudine del chiamare e del sentirsi chiamati,per vocazione a non avere nulla altro che la vita”.
    Ciao,scrittore fine che si fa troppe domande,forse qualcuna di troppo.Mirka

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  5. non so se fosse credente, era combattuto, ma anche un sistematico. Tre anni fa aveva letto tutta la bibbia e il corano, poi era andato a Gerusalemme, credo volesse sentire una dimensione oltre al razionale che aveva informato il suo lavoro. Parlavamo anche di questo, io agnostico e Lui chissà.
    C’è una sfera personale che non va bene per questi luoghi ed in questa con Lui il discorso continua tra ricordi e cose dette e da capire.
    Grazie 🙂

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  6. Nel mio ambiente di lavoro si dice che il “gruppo” funziona e (si) arricchisce nel momento in cui si valorizzano le differenze tra i singoli. E’ l’essere portatore/trice di una differenza che individua il soggetto. La professionalità si stabilisce su questa base. So bene quanto la pratica si discosti dalla teoria, ma in questo credo di essere stata fortunata per aver potuto esprimere anche la mia persona nel lavoro. Non penso che si debba essere amici in un gruppo di lavoro. Conta riconoscere l’altro. Di alcuni colleghi ho intuito la fatica esistenziale a volte dalla dedizione verso il lavoro, altre invece dal disamore e dal fare le cose che richiederebbero “cuore” con lo spirito del burocrate e di chi alla fine, qualunque cosa faccia, non avrà la medaglia come ricompensa. Ho visto persone cambiare aria perchè non erano riuscite o non eravamo riuscite ad integrarsi /integrarle. Penso che il fallimento sia di tutte e due le parti, perchè ogni persona può dare di sè, ma per creare appartenenza occorre riconoscersi simili e camminare insieme. So che suona un po’ retorico. Il giudizio, come sempre, è il discrimine fondamentale.

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  7. Il mio lavoro è particolare, spesso lavoriamo con apporti esterni oppure io lavoro con altri, il capocommessa o team leader integra il tutto. L’essere di più aziende, spesso molto distanti, fa sì che i rapporti tra persone possano essere formali e molto legati al risultato. Si sta assieme per uno o più lavori, poi magari si è concorrenti in un’altro, la consulenza è fatta così. Per questo si invoca molto l’etica, e questa pare sia un discrimine tra le persone. Devo dire che non mi sento parte di questo ambiente, mi interessano le persone. A volte accade che vi sia una sintonia singolare che si trasforma in amicizia.

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