la libertà delle parole

Sono sempre stato estremamente restio a dare il nome di versi alla parte più musicale di quello che scrivevo. Ed ancor più a darli in giro.

Credo che la poesia sia altro rispetto alle mie parole e ai miei pensieri. 

C’è poi la convergenza di un’educazione in cui vantarsi od anche solo esibire era considerato inelegante e maleducato. Questo confluisce con la considerazione di me, mai troppo elevata su quello che produco.

Come dire che conosco sufficientemente i miei limiti e che lo stile è parte del vivere.

Però la stessa attenzione non l’ho usata per i testi di riflessione. E da quando una parte di quello che scrivo finisce in questi luoghi, ho capito che le parole, per me così dense di significato, hanno una libertà propria. Che esse stesse hanno ragioni forti, di consequienzialità e che conducono, nel descrivere, verso una loro verità condizionata al sentire, con cui mi devo confrontare. E’ il processo del chiarirsi, scrivendo, che aiuta a capire. L’uso dell’immagine poi, fornisce un confronto, tiene i piedi per terra.

Le parole esigono rispetto perché contengono altro, esigono previsione perché producono effetti, vogliono attenzione altrimenti cambiano significato.

Diverso è il ragionare per ideogrammi, per contenuti simbolici; dovremmo unificare i contenuti anziché il vocabolario ed all’interno di questi ricavare il nostro personale glossario che ci permette di dire chi siamo davvero. Tu mi devi capire attraverso quello che ti dico, così arriverai vicino a quello che sono. Se t’interessa, altrimenti non ascoltarmi.

Questa igiene dell’ascoltare partecipe mi basta per avere meno reticenze, ma non meno dubbi.

 

 

2 pensieri su “la libertà delle parole

  1. Credo che il problema esista ma esce allo scoperto appena “si alza l’asticella”: è il limite o il pregio di un Blog rispetto a FB, per certi versi il difetto rispetto ad un vecchio diario cartaceo. Penso che anche il segno di una penna e il suo stile grafico abbiano una dignità che l’eletronica appiattisce. Tu gareggi su pedane di alto tenore, il dilemma sulla qualità poetica di ciò che scrivi lo indica con chiarezza assoluta: non è un disagio dal quale uscirai perchè credo che la tua educazione intellettuale, per quanto aperta, sia ormai organizzata. Ma libertà delle parole con la quale fornichi spesso, contagia non solo te ma anche chi legge i tuoi scritti e ciò è un fatto positivo: in realtà questi luoghi sui quali trascorriamo assieme ad altri una parte non esigua del nostro tempo sono sempre più spesso sporcati da segni che vanno in direzione opposta all’ascoltare, all’avvicinare…a capire prima e dissentire poi. Abdicare alla nostra volontà di condivisione culturale per stanchezza o impotenza ( poichè si diventa fragili) porterà ad una sola conclusione: un mondo senza igiene alcuna. Nessuno di noi due lo vuole credo.

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  2. Ciò che importante per noi Enzo, spesso non lo è per altri. Bisognerebbe accontentarsi che le parole si assestino all’interno del nostro campo magnetico e trovino il modo di dialogare con noi. Ma hai ragione, si diventa fragili e ciò che in un quaderno o un diario è un sommesso parlar tra sé, in questi luoghi genera la sindrome dell’attore che vede e parla al bujo. E quindi è sé e fuori di sé, e semina dove non vede.
    Un mondo senza igiene nell’ascoltare non lo vorrei proprio.

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