Svagato. Mia madre accolse questa definizione di me con sollievo. Le sembrava, credo, una condizione dell’età, quasi un peccatuccio veniale da perdonare con pochi ceffoni terapeutici. Insomma rispetto al solito “potrebbe fare di più”, che a lei, donna che faceva molto, infastidiva assai, questa definizione pareva un miglioramento. Capiva che non dipendeva dalla volontà, e neppure dall’intelligenza così riottosa a disciplina e regole. Era un perdersi chissà dove. E questo figlio, così poco pratico nei lavori, abile solo in ciò che amava, era certamente altrove. Ma se si perdeva in tutta quella fantascienza che leggeva, ed era contento di qualche suo sogno, comunque sarebbe tornato. Oh sì che sarebbe tornato, magari a ceffoni, per posare i piedi per terra.
E lì, s’inteneriva. Forse pensando ai suoi sogni di ragazza, mai cresciuta del tutto, nonostante la guerra, due figli, il marito troppo spesso lontano, le difficoltà economiche, sentiva che il tessuto di quelle nuvole era cosa che aveva conosciuto e che da qualche parte viveva ancora.
Svagato. Sembrava appropriato per questo ragazzo che s’allungava, che era già più alto di lei. E pure lei non era bassa, anzi. E magra. E anche lui era stato magro. Sin troppo. Ma adesso stava bene, solo che la testa se ne andava per suo conto. E correva, anche in quello che apprendeva, correva, ma poi si fermava e continuava altrove, su cose sue senza né capo né coda. Faceva il minimo, s’occupava d’altro, leggeva e giocava molto. Da solo o in compagnia, svagava.
Qualche punizione ripetuta, qualche controllo più stretto, e forse quello svagare si sarebbe mutato in concretezza. Sarebbe riuscita a farlo camminare da solo. Senza paure.
E di nuovo s’inteneriva: svagato. Proprio come un palloncino rosso.
p.s. c’è una foto in cui mi guarda e si capisce che è indecisa, ma che comunque, per amore, non m’avrebbe forzato mai.
è bellissimo questo post, soprattutto nella considerazione finale, buttata giù con assoluta franchezza ma senza addosso alcuna traccia di rimprovero:
“Qualche punizione ripetuta, qualche controllo più stretto, e forse quello svagare si sarebbe mutato in concretezza. Sarebbe riuscita a farlo camminare da solo. Senza paure.
E di nuovo s’inteneriva: svagato. Proprio come un palloncino rosso.
p.s. c’è una foto in cui mi guarda e si capisce che è indecisa, ma che comunque, per amore, non m’avrebbe forzato mai”.
Hai descritto il limite, spesso inevitabile, di certo amore materno, tanto grande da non saper fare i conti con la vita adulta dei figli, dando quando serve quel che tu chiami ” …Qualche punizione ripetuta, qualche controllo più stretto..” ma che potrebbe ridursi benissimo soltanto ad un più deciso senso di indirizzo, ad una spinta verso un atteggiamento di concretezza meno compromissorio..
Non mi sorprende leggere che tua madre fosse peraltro tanto concreta e avvezza alle difficoltà per quanto aveva vissuto, no: a volte succede che chi ha avuto un’esistenza dura voglia a tutti i costi risparmiare ai figli quello almeno ciò che può risparmiargli.
E’ un errore dettato dal troppo amore, dalla troppa tenerezza, ma mentre lo scrivo già sento il bisogno di correggermi per aver dato l’impressione di criticare l’amore e la tenerezza.
Scusami tu, allora.
Un abbraccio
Tereza
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la fortuna di avere un figlio maschio…l’amore che nessun uomo ti darà mai 🙂
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anche tu come me hai fatto un ritratto essenziale, senza sbavature , una presenza vera e forte, senza bisogno di tante storie…. un bacio a te
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La incontri mai tua madre quando sei lassù fra le nuvole? Credo che quando siamo fatti di aria deve averci partorito una piuma o una farfalla che poi, per non perderci di vista, si è fatta terra e albero. Gli errori di cui parla Tereza sono i più dolci del mondo e lasciano un segno solo negli occhi quando ridiamo ad un ricordo che gioca ancora con noi. Mi hai commosso, grazie. Enzo
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VIENI A LEGGERE QUI:
http://quitereza.blogspot.com/2011/03/l8tt8-di-marzo-quasi-mezzanotte.html
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Grazie Tereza, ho letto. Sei cara e mi piace il tuo collegare persone, come un congiungere mani.
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