Poi, rapido come una sciabolata di cosacco, accade. E ciò che sembrava solido, magari discutibile, e pronto ad evolvere col ragionamento, disgrega. Se andiamo alle ragioni meno apparenti, una crepa trascurata emerge. Di lì è iniziato. Ma ancora le dinamiche non sono chiare. E neppure le positività del futuro che si preannuncia. Insomma, si è avviati verso qualcosa di ineluttabile partendo da un segno marginale e debole.
Perché questa viscosità progressiva e poco motivata? Le ragioni si sentono appiccicate, la consequienzialità fa difetto. Non è un ragionamento lampante, non si illumina nessuna verità. Era, ed è, una possibilità che potrebbe essere ed anche non essere. Anzi, le ragioni perché non sia, sono più giuste e più forti. Perché allora, prevale il debole, l’ingiusto? Forse perché non è debole, forse perché nell’arroganza della ragione, dell’ evidente, si trascurano le entropie. Si pensa che il mondo evolva, il nostro piccolo mondo, sulla forza delle ragioni, dei numeri. E si attribuisce un’ oggettività a tutto ciò, come fosse il reale. L’unico reale. C’è chi sposa la terra perché è solida, tangibile, e non è fatta di questo interrogarsi e neppure di possibilità. Accetta la legge del più forte e stronca il debole. Od almeno pensa di farlo. Ma debole non è sinonimo di giusto, è debole che vuol diventare forte e per questo è disponibile all’ingiusto, all’alterazione della realtà. Vuole in sostanza che prevalga la sua realtà. Non è sempre così. In amore ad esempio si accetta il rischio, si fa e si sa che probabilmente si sbaglierà, ma lì funzionano i sentimenti, non è questo il caso. Qui parliamo di lavoro, di imprese, di persone.
Il terreno si è eroso, le possibilità diminuiscono. Ci si interroga sugli errori. Nessuno sembra così forte, i numeri danno ragione, ma non basta. Quel “preferirei di no” è diventato incoercibile resistenza. Adesso le difese sono arretrate e si deve decidere se morire od andarsene. Si capisce cosa prova con tragedia ben maggiore, chi si sente in trappola. Può essere una scacchiera, un amore finito, un conto aziendale pieno di speranza non condivisa con la banca, un progetto che s’ infrange, una vita chiusa, un fortino che non vede arrivare rinforzi. Andarsene, ricominciare altrove non elimina il senso della sconfitta e pone il tema del come uscire.
Bisogna andarsene quando ancora mancheremo, non quando saremo messi alla porta. Ho sempre creduto a questo assioma del ricordo positivo. Ma il momento vero dell’andarsene è colpo da maestri, intuito del guadagno vero, che non è quello economico, ma quello dello star bene. Ci dibattiamo sempre tra compatibilità, pensiamo di essere liberi nei nostri atti di disposizione eppure non corriamo nel bosco, ma su un sentiero con bivi e svolte ed in continuazione valutiamo convenienze, possibilità. La parola atto è così povera, sembra non racchiudere che la concretezza, ma quanto di immateriale si muove dietro quell’atto, la sciabolata dell’incipit, scompare. Preferirei che fosse gesto, parola che ha la tenerezza che ci dobbiamo, ed è comunicazione complessa. Ma queste sono mie fantasie, contano gli atti, non i gesti, i numeri che ti vengono rivoltati contro. Hai mai pensato a quanto fallaci siano le interpretazioni dei numeri? Ciò che per te è fatica, per chi sta a guardare diviene insufficiente, marginale, risibile. Eppure c’è il contesto, il mercato che schianta querce piene d’anni di lavoro. Non conta. Non conta nulla, perché il numero deve aiutare la teoria del debole che già si sente forte. Cos’è bastevole? Qual’è il limite oltre il quale inizia il successo incontrovertibile? Ed allora scopri che la crepa era dentro di te, che la tua sottovalutazione della debolezza altrui era sottovalutazione della tua debolezza. Servirà per il futuro? Non credo perché nella logica del vincere, l’errore è consustanziale ed il corollario è non fare prigionieri, non avere testimoni. Ogni errore piccolo o grande deve ridurre i testimoni, introdurre il dubbio sulla sua esistenza, fino a diventare verità. Non ci può essere dubbio. Ma tu non sei fatto così, l’hai sempre coltivato il dubbio, hai rafforzato la passione per conservare il dubbio, la generosità del gesto gratuito. Non serve se non a te, negli altri ti si è ritorto contro, ma non avevi alternative. Non perché tu sia migliore o più bravo, nessuno meglio di te conosce i limiti che ti porti dentro e dietro, ma perché pensi che fare senza un ritorno esplicito, valga per vivere. Ecco dove sbagli, ma non cambierai, continuerai così.
Il tempo comincia ad andare all’indietro, quando subentrerà lo scoramento, il senso dell’inutilità? Bisogna eliminarlo, prima che accada andarsene, nel frattempo lottare. C’è ancora la possibilità di rovesciare il corso che sembra determinato. Giocare all’attacco, non in difesa, non subire e poi andarsene.
E’ l’ora di contrapporre iterazioni deboli a iterazioni che si credono forti. Un problema deterministico, in cui assumere la necessità dei livelli d’energia come stato del vivere. Ridursi a particella e fare il proprio lavoro. E’ allegra l’idea di una particella che decide e va per proprio conto, incanalata nei sentieri della coscienza di sé e delle forze che la circondano. Un vagare per lo spazio in cerca di comunicazione energetica non sottrattiva, nuotando contro l’entropia.
A testimonianza che non basta la percezione della crepa per prevederne l’esito, ricordo, ma non sapevo.
https://willyco.wordpress.com/2007/08/20/increspatura/
LEGGO
in una pausa di lavoro, catturata dall’argomento e sotto alcuni versi da alcune analogie.Sicuramente mi sarà sfuggito anche qualcosa di fondo ma non l’immagine scaturita da un mio modo d’essere.Ho sempre intuito l’approssimarsi della fine di un ciclo,(lavorativo,storie affettive,lo stesso matrimonio,la casa ultimata da uno splendido terrazzo che da sempre mi portavo dentro e poi venduta,relazioni d’amicizia o di partito) e, prevedendone (misteriosamente) l’avanzare verso quell’inevitabile,pur con dolore,m’accingevo ai preparativi della chiusura con grandezza,magnanimità,generosità mai disgiunta da una serenità che mi veniva come dal compimento a cui non ci si può sottrarre,ma al quale bisogna lasciare il ricordo di sè nel modo più splendido e quasi regale.Questo avvenne per tutto quanto sopra detto.Persino per l’ultimo viaggio di mia madre (che amavo profondamente e che fu l’unico punto di riferimento,in assoluto ,per me),preparai la mia anima e il mio corpo affinchè a Lei fosse dato tutti gli onori che meritava,a me,la GIOIA per esserne stata capace dandole l’addio (ARRIVEDERCI) CON UN PIANTO CHE ERA LUI STESSO UN TRIBUTO CHE LEI SICURAMENTE SI SAREBBE PORTATO CON SE,SEGUITO DA UN COMPOSTO SERENO SILENZIO la cui NOSTALGIA prese poi dimora stabile sui miei occhi curiosi e aperti sul proseguimento del MIO viaggio ma con un distacco di protagonista che si sta ad osservare sempre con meraviglia e stupore.Bianca 2007
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Viva chi mi abbandona! Mi ridà a me stesso.
Henry de Montherlant, Quaderni
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Benvenuto Ghibli, 🙂
Il non essere d’altri che di sé stesso, è una grande verità. Una bussola del vivere che considera la solitudine.
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