la parola della settimana: transizione

La piazza protesta, allegra ma non troppo, determinata. Cosciente di quanto accade, sembra persino flebile nel suo urlo, non c’è la rabbia cieca della fame. E’ una piazza che ragiona, composta, l’antitesi della massa. Come fossimo un popolo di filosofi abituati alle difficili imprese del discettare e della ragione ultima.

Ho riscritto tre volte queste parole, sentendo la volatilità del mutamento. Transizione è una parola fugace nelle rivoluzioni, duratura nei processi politici. Difficile dire in cosa ci troviamo, certamente né l’uno, né l’altro. Il Mubarak pensiero, arriva da altri contesti ben più forti.  Fa scuola. Va, non va? Va. Bisogna costringere alla porta,  perché per l’imperatore il destino del paese, nel delirio di onnipotenza, coincide con il proprio e la fine, è la fine di un mondo. In questo mondo ci sono i pretoriani, la guardia dell’imperatore che soppesa e valuta. Appena oltre, il carosello silente dei nuovi pretendenti: Tremonti, Letta, gli altri meno titolati perché più indipendenti. Intanto gli estenuanti difensori dell’impossibile da difendere, fanno più danni del capo. Avvalorano e difendono la degenerazione genetica, non si dovrebbe mai trattare con questi: avvelenano i pozzi della vita sociale.  Ma che faranno i pretoriani, sosterranno il vecchio imperatore oppure salteranno sulla barca della transizione?

Intanto l’opposizione deve proporre alternative credibili, lottare ed agire, partendo dall’ assioma che scegliersi il nemico è intelligenza politica ed anche scommessa sulla vita: la propria. Allora capire che bisogna istancabilmente erodere il contorno, le linee di difesa basate sul relativizzare tutto, diviene fondamentale. Non arrestrare, non stancarsi, contare sul sostegno della piazza, ma non tradirla. Basterà aver chiaro che la transizione non farà prigionieri?

La transizione è la parola magica, come fosse un indovinello in cui c’è una capra, un cavolo, un lupo da portare sull’altra sponda. Napolitano è una persona educata, ferma nei principi, con una storia poco agiografica, un comunista ammodo, che non era comunista neanche quando era un dirigente del Pci. Ha la violenza gentile dei miti, quella che non deflette, ragiona, ma non si sposta dalla direzione intrapresa. Vorrà guidare la transizione, come la vorrebbe la maggioranza del paese, ovvero senza scosse letali, usando la barca della Costituzione?

La piazza ribolle per un giorno, vedremo domani che accadrà, ma non basterà. Però da tempo, molti hanno cominciato a farsi domande, si deve trovare una via d’uscita, un modo indolore. Che poi indolore non sarà. Sapete che pensano i benpensanti? Va bene transigere purché paghi qualcun altro.

Per noi che assistiamo partecipi, c’è la scelta se essere capra, cavolo, o lupo.


2 pensieri su “la parola della settimana: transizione

  1. Chissà perché trovo questa definizione di wikipedia rilevante: “Jacquerie è un termine francese ormai entrato nella terminologia storica usato per indicare un’insurrezione contadina spontanea priva di una preparazione politica e rivolta, di norma, contro il nemico più immediato; spesso il castello del signore locale o l’ufficio di registro catastale e tributario.”

    "Mi piace"

  2. In fondo tutte le rivoluzioni hanno uno sbocco d’interesse immediato. Credo che le donne non sarebbero d’accordo sulla jaquerie, quelle che erano in piazza o a casa sentono che oltre il colore politico si e’ passato il segno della liceità. Credo anche che, lungi dall’essere conservatrici le donne sentano molto il valore della coesione, del rispetto

    "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.