Appena fuori gli stabilimenti fatiscenti, stamattina, l’erba e le grasse piante di prato erano verdi. Foschia, vapore dalle torri di raffreddamento, recinzioni cieche di cemento, ferro spinato a tener lontani gli altri, fino ai varchi con stanchi custodi di primo turno. Marghera, già il nome è plumbeo, pesante di lavoro sofferto, di vite consumate in un sogno di benessere. I destini del paese erano anche in questa terra che si disfa, ora spugna piena di veleni che un tempo non erano tali. Non sembrava, non pareva, che si seminasse morte tra le erbe spontanee, la vita in fabbrica era già un privilegio, il lavoro non poteva fare così male. Ora si pensa alla salute, ma fino alla metà degli anni ’70, la salute si negoziava nei contratti: le lavorazioni insalubri producevano indennità. E morte prematura. Ma sarebbe successo, forse, ad altri, od almeno così si pensava. Mentre l’ essere in una grande azienda portava un trattamento aggiuntivo: i figli avevano colonie dove andare d’estate, c’era un cral per far la spesa e le gite, il panettone a natale, la gratifica, il cottimo. Qualcuno si sentiva parte di qualcosa di importante, un’appartenenza al futuro, perché dal suo lavoro usciva il pcb, oppure l’acrilonitrile, o l’acido tereftalico e già i nomi evocavano la dimensione degli impianti, lucenti castelli d’acciaio inox e vetro. Veleni non esplorati, si trova solo quello che si cerca, m’insegnavano in laboratorio, non indagati. Presenze che intaccavano silenti, fino alla consapevolezza, ma allora era troppo tardi. Quanto contò medicina democratica, l’unione tra conoscenza e sapere pratico per disvelare le ragioni delle malattie da lavoro. Un esempio di interclassismo forse senza eguali nella storia dell’impresa. Altre sensibilità, altre percezioni del lavoro e del suo ruolo sociale. Della solidarietà.
Mi raccontano che da molto ormai, nelle dismissioni c’è paura da parte dei compratori, non si sa cosa si compra davvero. E non bastano le certificazioni, nella testa della gente, qui il requiem è già stato eseguito, anche se continua a suonare in ogni mattina, in ogni strada, nell’acqua sporca dei moli, tra i cefali che crescono indisturbati vicino alle bricole, dove è vietata la pesca da anni. Che accadrà in futuro di questi terreni pieni d’alberi ed erba senza verde? Quello che si legge nella texture di grigio cemento, acciaio, e verde è la tavola degli elementi, non l’uomo. Potrebbe essere un luogo senza l’uomo con una vita alternativa, ma la rendita dei suoli, la visione di Venezia ad un tiro di schioppo non lo permetterà.
Non molto distante, si consumava l’ultima difesa della repubblica di Venezia nel 1848, un pugno d’uomini, con una città stremata dalla fame e dal colera resistevano rispondendo ad un sogno, non alla realtà. Servirebbero uomini come quelli: disposti, pronti, senza calcolo o misura di fatica. Chissà.
Guardo attorno e il requiem è la falsa immagine del verde che diventa colore senza vita.
Certi post non riesco proprio a commentarteli. Li leggo ammirata, e basta.
OT.
Vedo che da te nevica. 🙂
In questi giorni produrrò il fenomeno anch’io.
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sono finiti i tempi di appartenenza. a torino questo fenomeno l’hanno vissuto quelli della fiat..il natale bimbi, che mi dicono ancora si faccia, la macchinetta del caffè degli immigrati napoletani attaccate a dei fornelletti vicino alla linea, le 600 stracariche il 31 luglio per tornare al sud, alla terra, ormai colonizzati e pure orgogliosi di dire 4 parole in torinese…la scuola allievi fiat, che i bocia (ragazzini) frequentavano di sera, dopo l’officina, per diventare capo squadra e poi su su fino a quadro..quadro, già la parola è sintomatica : al di sotto del dirigente, al di sopra del capufficio, fare quadrato per impedire di accedere oltre. difficile succeda tutto questo nell’era marchionne e john elkann che parlano inglese meglio dell’italiano, i bocia sono ragazzini con le naike e la play, i terroni votano legano. c’est fini. tutto passa. anche la fiat. amen.
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Come si fa a dismettere la storia? Sarò stato così ogni volta che qualcuno di illuminato ha deciso che dove c’era un palazzo dovesse sorgere una piazza o al posto di un prato un grattacielo? Stratificazioni di terra e sangue delle persone che hanno percorso e vissuti gli spazi. Che ad essi hanno dato senso. E tra 40 anni quegli spazi ne avranno un altro, di senso. E’ questo ciò che mi importa: quale altro senso avranno. I primi cristiani milanesi, dove c’era una discarica romana, usando colonne e capitelli di scarto costruirono la chiesa di S. Lorenzo. Noi, o quelli dopo di noi, cosa costruiranno con i nostri scarti o sopra o dentro i nostri scarti? Il poeta dice che dal letame nascono i fiori, ma mi sa che il nostro letame è talmente tossico che al massimo può nascere quel microorganismo resistenze all’arsenico di fresca nascita negli States.
Eppure penso, non so perché e non so come, che un altro strato ci sarà. E quando gli archeologi del futuro troveranno il nostro livello si chiederanno: “Come è potuto accadere?”
Perché è questa la triste domanda, alla quale volendo potremmo por fine, alla quale non porremo mai rimedio ed alla quale non risponderemo mai, indulgenti come siamo.
Come è potuto accadere?
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la storia, al massimo si rimuove, ma funziona solo per un po’, poi torna. Viviamo sulle vite passate e questo ci dovrebbe dare la responsabilità di non lasciare il deserto a chi verrà. Mi hai fatto tornare a mente un uso che ho visto in Ucraina: i morti vengono seppelliti aggiungendo tombe su tombe, ma i morti giovani vengono lasciati sopra perché i vecchi non devono pesare su di loro.
Grazie per gli Area, vedo che sai quanti anni ho 😉
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