Si generalizza, ci si chiede parlando al plurale, ma io che ne so di ciò che muove gli altri per scrivere nei blog, allora meglio parlar di me. Non mi chiedo più perché scrivo, ma per chi scrivo. E se scrivere e pubblicare sia davvero ciò che voglio. Scrivere mi piace, è un vizio solitario e terapeutico. Se mi pongo dubbi, in realtà sono io stesso che li genero col mio modo di alludere, di girarci attorno e di far guardare il dito perché la luna è riservata a chi la sa vedere. Finora è valsa la pena di fare questa fatica-piacere e chi leggeva, era comunque gradito. E’ una parte parte buona del parlare, l’essere ascoltati, ma non è tutto, ai nostri interlocutori chiediamo di capirci oltre, di far fatica per noi, altrimenti il piacere di scrivere si sazia con inchiostro e pennino, riservando a sé. Le passioncelle private comunque circoscrivono ciò che si scrive in questi luoghi e il resto lo tengono altrove. Finora mi pareva qui andassero bene le furie e le riflessioni generali, le analisi forzatamente brevi e la cronaca, il lasciar intravvedere sé, l’accennare. Esemplificando non provo gusto a parlar male di Berlusconi o di Bossi, con analisi troppo facili, spesso velleitarie nelle conclusioni. Mi sento in quota parte responsabile di quanto è successo a questo paese e parlarne non mi aiuta più di tanto se non perseguo una soluzione, ma questo vale per ogni problema. Mi colpisce di più l’acriticità di chi stimo, che non muta e non s’impegna. Di chi si lamenta, distinguendo la sua diversità, ma non si muove. In fondo vorrei parlare a questi, non ai già convinti. Ed in questo parlare che differenza c’è tra una notizia ansa ed una riflessione sui temi del giorno? Moltissima se c’è qualcosa di nuovo, qualcosa che muove a fare, nulla se è il ripetere di pensieri già sentiti o già pensati autonomamente. E’ vero che, come per la televisione, basta spegnere, che si possono visitare solo i blog che ci parlano davvero. Che frequentare poesia e vita dà sempre molto e fa pensare a sé, ma questo è parte del mie scelte d’attenzione, per quanto scrivo il discrimine è il non annoiarmi di me stesso. E’ sempre più difficile, conservare equilibrio e voglia, ora credo debba prevalere il mondo visto dai miei occhi. Osservare senza pretese, in quel gioco dentro-fuori che è soliloquio, ma potrebbe essere conversazione. Non ho mai tenuto un diario del guardare, ma c’è tempo. Il tempo rallenta con l’età, si capisce più a fondo, si dice il necessario a sé. Quello che fa piacere, non quello che si vuol sentir dire.