la brioche

 

Il gusto atteso non c’è. Sorpreso, mi fermo, guardo attorno. Vedo briciole sui tavolini tondi, persone che parlano fitto, tranquillità e nervosismi mischiati. Sono solo, mi stendo sulla sedia appoggiando la schiena con voluttà di tempo. La brioche attende dopo il primo morso, forse troppa avidità ha deluso. Bisognerebbe sempre usare l’educazione, i tocchetti sono funzionali al gusto ed alla vista. Ma questa brioche la conosco bene, sfoglia, mandorle in superficie, ripieno di mandorle all’interno. Sapida, da ingordigia, una riga di zuccheri di canna che la penetra, in una fusione femminea di gusto e voluttà. Una voglia, non un’abitudine.

Guardo ed ascolto le voci attorno. La Dandini, il parlamento, Fini. Poco oltre, un complimento a voce bassa, forse un invito. Acciottolio di tazze in attesa di lavastoviglie. Che banalità l’acciottolio, moriremo di banalità, di parole vere senza cuore. Parole che fanno bene solo a noi, da raccontare perché ci riportano alla nostra infanzia, alla maestra, alle fatiche sui quaderni dalla copertina nera. Parole personali, poco utili al presente. Emerge il ricordo del primo disastro scolastico, quella parola cielo che perdeva la i, e veniva riscritta e cancellata con quella gomma azzurra e dura, fino a bucare la pagina. E allora le parole scritte con pennino ed inchiostro erano state inondate da lacrime. Sbavate, disperate e senza futuro. Come quel cielo che si vedeva dai finestroni altissimi e che non aveva la i, ero sicuro che l’avesse nascosta, anzi no, l’aveva persa per sempre e non voleva che lo sapessi.

Torno a guardare attorno; nell’angolo una donna guarda senza vedere. In alto, sopra le scatole di cioccolatini, non c’é cielo, solo pensieri. Poi si scuote, riporta in viso sulla tazza. Si atteggia, soffia il naso, mi guarda. Ricambio e non abbasso gli occhi. Non lo faccio mai. Torna in sé, si occupa della borsa.

Stacco un pezzetto di brioche, lo gusto sul palato, delude, non risponde al ricordo. Forse le mandorle poco tostate, o la sfoglia non lievitata a sufficienza, che così s’appiccica e muore nel gusto. Chissà.

Entrano due coppie. Ridono, fanno chiasso per farsi sentire. Parlano del fine settimana, i progetti, gli amici da invitare. Ricordi di scorribande autunnali mi affollano la testa. Le passeggiate con i piedi immersi tra le foglie di castagno, il viso rovente dall’aria, il camino, le solite canzoni cantate in coro. Allora erano vere ed ora sono patetiche. Perché ci ricaschiamo? Quanto bisogno abbiamo di compagnia, di calore, di pensieri domestici? Già, anche la rivoluzione ha una cucina e una lavatrice.  Adesso vorrei la sera, interrompere il flusso dei ricordi, con la sua malinconia esterna e certificata, ma sono le 10, il sole è pieno di odori mattutini. Non è tempo. Non è mai tempo. Ancora un boccone di brioche: decisamente deludente. Lascio il campo, non è più aria. C’è bisogno d’altri sapori per oggi.

Tornerò, si torna sempre anche nel campo dei delitti altrui.

 

3 pensieri su “la brioche

  1. oh willy che bel blog da salottino della signora speranza 🙂 quelle cose d’altri tempi, centrini e “cinz” fiorato…
    ah le brioche..per cui la povera maria antonietta passò alla storia di studenti caproni che niente capirono della rivoluzione se non la brioche..
    proust, da perfetto dandy, si trastullava con le madeleneis di pasticceria, noi con cornetti risvegliati nel microonde : alle volte hanno un risveglio moscio, mica sono tutti garibaldini 🙂
    e qui, per amor di patria, mi fermo 🙂

    sorrisisorrisi..

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  2. La brioche di oggi era un capolavoro, una “venexiana” con una crema perfetta, il caffé era solo un Illy senza grazia e passione. Altro bar, un po’ spocchioso per la sua pasticceria premiata dal Gambero rosso, ma non c’erano persone interessanti. A parte un compagnuccio della parrocchietta di quand’ero ragazzo, pescato 30 anni fa, con 140 gr di cocaina e poco recuperato dopo 5 anni di galera.
    n.b. non amo il microonde e sulle brioche in particolare, che piacere sarebbe?

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