Signor Presidente della Repubblica
tra pochi mesi il nostro Paese festeggerà i 150 anni dalla sua formazione. L’Italia, con molta fatica, ha riconosciuto la propria unità e per costruirla il prezzo pagato è stato altissimo. Il processo identitario, iniziato allora, è continuato radicandosi nella memoria prima che nella mente delle persone. Ma la memoria sbiadisce, per questo Le parlerò di un passaggio concreto di questo processo identitario, tanto cruento da aver motivato un monumento nazionale ed un recinto sacro. Sopra Gorizia, sulle alture del San Michele si combattè a lungo nel 1916, 11 battaglie, oltre 100.000 tra morti e feriti. Se si sommano le parti avverse il conto della morte cresce e diventa immane, incomprensibile. Si confrontarono, non per volontà propria, i contadini di nazioni diverse, ma se Ella scorre i nomi dei reggimenti, trova tutta l’Italia. Quella tanto distante da quella linea di guerra da non conoscerne non solo il nome, ma l’esistenza. Mi permetto di ricordarle questo luogo, che Ella certamente conosce, per il solo motivo che a pari -e forse più di altri- è stato marginalizzato dalla memoria comune. Come tutto quello che infastidisce. In particolare ora che, finita la retorica della guerra giusta o santa, e pure il suo ricordo tragico, si nega che l’unità del Paese, il mantenimento di quelle terre all’Italia, si sia costruita in quelle occasioni con il sangue di tutti.
Per arrivare al San Michele si fa fatica, manca una segnaletica adeguata, persino gli abitanti rimuovono la presenza del Sacrario, segno che le manifestazioni che vi si svolgono non sono così importanti e frequenti. Arrivati in cima, dopo aver oltrepassato quello che un cartello definisce: area sacra, c’è il piccolo museo, ma soprattutto si notano le antenne dei ripetitori che sovrastano. Non c’era altro posto dove metterle? Capisco che il sacro ha un valore contigente, ma sulle chiese di solito non si fa altrettanto ed il sacro ha un significato concreto. Infine il museo, piccolo, ordinato, depurato. L’ho visitato anche in passato, ma un tempo era ordinato diversamente e spiegava dei molti contadini al fronte, perchè gli operai (principalmente del nord) servivano per l’industria bellica. C’erano motivazioni chiare che facevano capire perché nella guerra si erano mescolate le culture, i dialetti, realizzando l’unità di fatto del Paese. Tutta questa parte è scomparsa ed è rimasta la parte più asettica, forse elegiaca, ma sostanzialmente morta, di quanto accadde. Anche il pieghevole che viene distribuito, è di fattura così datata che non può in nessun modo attrarre l’attenzione di un ragazzo a cui si spiegano le ragioni per cui questo Paese, venne fatto anche da una guerra così sanguinosa. Mi soffermo su questo, Signor Presidente, se questo Paese festeggerà la sua unità senza coinvolgere profondamente i giovani, sarà una grande occasione perduta per tutti noi. E sarà un’occasione perduta proprio nel momento in cui i confini non servono più e quella guerra si dovrebbe chiudere definitivamente, lasciando che i segni di quanto accadde continuino a parlare e ad insegnare. Mi permetto di chiedere un Suo intervento, una Sua presenza in questi luoghi per rafforzare i significati dello stare assieme. So che Ella lo fa, ma se avrà occasione di visitare il San Michele, ben meno imponente di altri Sacrari Militari, si renderà conto che questi luoghi parlano ancora, se si ascoltano, che la terra e le pietre non sono le stesse che troveremmo ovunque, che le storie che si sono consumate in queste doline, così misere alla vista, hanno segnato la memoria di molte famiglie per molto tempo. E queste famiglie cercavano una ragione per quelle morti e la trovavano nell’unità del paese. So anche Signor Presidente, che questo non è il problema principale dell’Italia, che ben altro urge, ma a chi, se non a Lei, è possibile chiedere che non si disperda quanto accaduto? La ringrazio per l’attenzione che vorrà dare a questa segnalazione.
Con rispettosi saluti
torino vive immersa nei 150 anni, ancora c’è il ristorante del cambio dove andava a pranzo cavour quando usciva dal suo studiolo : che a vederlo fa impressione : modesto, piccolo, con una finestra che si affaccia sulla piazza. che dire, Roberto, oltre a quello che hai già scritto?
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la lettera l’ho inviata ieri al Presidente, credo ne riceva centinaia al giorno, ma ogni volta che mi trovo in questi posti dove qualcuno è morto per motivi che spesso non conosceva bene, mi si stringe il cuore. E’ una questione personale, non riesco a restare insensibile, mi pare che delle morti inutili diventino vilipese, buttate via. A favore di quale alto ideale, di quale vantaggio comune? Si scomoda Cattaneo e neppure si sa cosa diceva, per dare patente di nobiltà ai peggiori istinti, senza rendersi conto che rompendo il contenitore, il contenuto si disperde. Non è stato un gioco dove ci si ferma e si dice basta, io non gioco più. Adesso si è lasciata andare troppo avanti la disgregazione sulla base dei piccoli giochi ed interessi personali, privilegiando gli egoismi anziché la legalità. Ora tutto è difficile, la falsità genera mostri come i peggiori incubi. E i giovani vengono privati del sapere, non della retorica, che quella era da eliminare già allora, ma del capire cos’è accaduto davvero. Forse se i 150 anni non fossero solo usati dalla lega come arma secessionista, ma venissero supportati dalle persone comuni che ribadiscono il percorso fatto, ci sarebbe un effetto politico importante.
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