| Ho paura di me di Massimo Gramellini da La Stampa del 14 luglio 2010 | |
| Ancora una donna uccisa dall’ex, in questa estate del nostro scontento che perseguita a colpi di spranga e di coltello chi ha l’unica colpa di volersi sganciare dal proprio passato. Li chiamano delitti passionali, rievocando il frasario degli omicidi d’onore. Ma la passione è un’altra cosa: per non parlare dell’onore. Non cerchiamo pseudonimi alla bestialità. Oltre a un senso primitivo del possesso, negli ex che uccidono e si uccidono (come l’altra sera a Ceva) in nome dell’amore sfuggito c’è l’incapacità maschile di reggere il distacco, l’abbandono che mima la morte. La prima volta che venni lasciato da una ragazza riconobbi subito la morsa allo stomaco: l’avevo provata per la scomparsa di mia madre. Lo stesso senso di smarrimento e di ingiustizia: adesso che ne sarà di lei, di me, di lei che può fare a meno di me?L’orfano precoce rappresenta un caso estremo. Ma ogni storia che finisce rinnova il trauma primordiale del maschio, quello sganciarsi dal grembo della donna che lo induce a sentirsi abbandonato anziché creato. E’ una forma disperata di dipendenza che si nutre di falso orgoglio ed egoismo autentico. Per guarire serve lo scatto di coscienza che trasforma una marionetta di muscoli in un uomo. Io la chiamo Difesa della Sconfitta: la capacità di sopportare lo strappo del cuore senza smarrire il rispetto di sé. Saper perdere è la premessa di ogni educazione sentimentale. Si applica in amore come nello sport, in politica come nella vita. Ma non la pratica quasi nessuno, perché nella civiltà delle emozioni isteriche e rancorose quasi nessuno riesce ancora a farsi invadere dalla calma forte di un sentimento. | |
| Se mi lasci non vale | |
| LIETTA TORNABUONI da La Stampa del 15 luglio 2010 | |
| Se in questo periodo mariti, ex mariti o amanti ammazzano una donna al giorno (perlopiù a coltellate), i pragmatici dicono che è colpa del grande caldo che scatena furori o fa sprofondare nelle depressioni, che lascia sentire con maggiore strazio la solitudine estiva e fa desiderare con più struggimento un poco di felicità.Gli psicologi facili dicono che la morte è la secolare risposta degli uomini all’abbandono; che se a venire lasciati sono i mariti, insieme con la moglie perdono la casa, i figli, i pasti cucinati, l’assistenza in caso di malattia, la condivisione della vita, le camicie pulite, e non sanno come fare.Secondo gli studiosi di sociologia, questa epidemia di sangue dipende dalla nuova fragilità maschile, da una ipersensibilità da adolescenti perenni, da una frustrazione che non permette loro di sopportare il vedersi rifiutati, il dover considerare un fallimento tutto ciò che avevano costruito magari con sacrificio.Per i moralisti cattolici, la colpa degli assassinii sta nella leggerezza con cui viene vissuto il rapporto donna-uomo, nel matrimonio o in altro tipo di relazione. Per gli analisti laici, gli uomini colpevoli di assassinio sono bruti che hanno capito nulla, che non si sono resi conto dei cambiamenti avvenuti negli anni, del diverso atteggiamento di libertà delle donne.Forse è tutto vero. Ma forse nessuna di queste ipotesi è vera. Si valutano infatti gli avvenimenti della cronaca con un’ottica deteriore: se accadono fatti tra loro simili, non si tratta per niente d’un fenomeno sociale, benché gli elementi esteriori sembrino analoghi.Sarebbe interessante se gli episodi consentissero un giudizio comune: darebbe l’occasione di prevenire ed evitare i fatti di sangue, con grande vantaggio individuale e collettivo.Però non è così: è da bambini fare della psicologia spicciola su gente che non s’è mai vista né si conosce, mentre ogni fatto occulta le proprie motivazioni, le ragioni per cui accade, il carattere dei diversi protagonisti, le pulsioni respinte o quelle a cui ci si abbandona. E, soprattutto, non si continuerebbe a definire i gesti di morte delitti passionali. | |
Il nostro male quotidiano
Lidia Ravera da L’Unità del 15 luglio 2010
Un triste copione che si ripete? Un allarmante incrudelirsi della violenza di genere? Un sintomo della degenerazione delle relazioni affettive? Un segnale ulteriore delle rabbiosa debolezza di un animale morente, l’io maschile? Domande. Soltanto con una dolorosa scarica di domande si può commentare la crescita esponenziale dei crimini contro le donne. Accoltellata perché “lo voleva lasciare”. Sgozzata per gelosia. Massacrata a sprangate perché non aveva intenzione di passare da una storia virtuale a una reale. Bruciata viva perché non lo amava più. Sono giorni di spavento, a leggere i giornali. La cronaca politica parla soltanto di malavita: sottosegretari, senatori, ministri inquisiti, condannati. Ormai non si registra che un accenno di nausea: toh, pure questo, guarda! Ce n’è altri due. Hai visto? Dell’Utri sta anche in questo inguacchio… è lo stesso di ieri, o è un altro? Sembra cronaca nera, la pagina politica. La puoi leggere come un romanzo criminale.
Seguendo le trame, scordando la trama. Tanto non cambia niente. I malvagi, male che vada, si dimettono. Nessuna catarsi, nessun risarcimento ai buoni. Stanchi, proviamo a leggere la cronaca nera come se fosse politica. Cerchiamo di dare una spiegazione al sangue, un colore al dolore. Che cosa sta succedendo? La gelosia è un sentimento che ha radici lontane, ma quando trasforma in assassini due, tre, dieci uomini in pochi giorni, la sensazione è che sia in corso una modificazione profonda: le donne sono cose di proprietà, sono funzione del desiderio altrui, non sono persone, titolari di diritti, di desideri, di libertà. Bastonarle a morte è male, ma, nel grande disordine morale in cui siamo immersi, il discrimine fra ciò che è bene e ciò che è male impallidisce impercettibilmente ogni giorno.
Ho riportato questi tre articoli, tra i tanti di questi giorni, sul tema della violenza nel lasciarsi. Due omicidi/suicidi nel veneto, in tre giorni, ma dappertutto ne stanno accadendo. E’ solo violenza oppure qualcosa di più. Perchè non c’è un’educazione al lasciarsi, che venga impartita sin da piccoli. Perchè le risposte religiose, sociali, tendono a rafforzare l’idea che sia meglio comunque non rompere, sopportare, coartare se stessi?
Accanto al diritto di famiglia e ai suoi aspetti economici/sociali, accanto alla perdita di status dovrebbero esserci le buone pratiche del chiudere i rapporti, del permettere che la persona si senta sicura nel proseguire la vita affettiva. Troppa enfasi sull’amore appartenenza, troppi messaggi contraddittori sulla libertà sessuale e sull’esclusività. Il singolo viene lasciato solo ad apprendere come trattare forze interiori immani e cui gli è stato inculcato attribuire carattere di definitività eliminando la vita e il suo evolvere. Se venisse insegnata l’idea del flusso della vita, della necessità di essere prima di tutto se stessi e poi relazionarci con gli altri, forse la visione di morte che accompagna l’amore verrebbe mutata in qualcosa di più positivo e meno definitivo.
educazione al lasciarsi Willy? educazione all’essere.
a noi femmine insegnano che quel che conta è trovare un uomo, anzi meglio e per l’esattezza, un marito, che si prenda cura di noi e ci protegga (da cosa non lo so :-D); al maschio invece che deve trovarsi una donna che sostituisca mamma nell’accudimento proprio e che perpetui la specie.
ci insegnano anche un’altra cosa: tu donna non hai diritto a lasciar nessuno ed infatti sino a pochi decenni fa le donne neppure osavano pensarci, la loro sussistenza dipendeva dal maschio e ci si doveva ritener fortunate comunque andassero le cose; tu uomo invece non puoi farti certo mettere in discussione da una donnetta qualunque.
Ah Willy, tristemente credo che le madri abbiano molto a che fare con tutto questo, direttamente o indirettamente.
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sono convinto che hai ragione Beba e che forse questa educazione al lasciarsi, dovrebbe nascere proprio dalle madri. Anche dai padri, certamente, ma serve una generazione per cominciare a rimettere in ordine le cose. Però non vedo nessuna sensibilità, si parla dell’epifenomeno, non si va alla radice del mutato rapporto tra generi. In passato ho continuato ad affrontare questo argomento, trovo tracce in molte domande che non sono state chiuse dopo il ’68. Come fossimo in un’area grigia dove è permesso tutto quello che ha regole incerte, salvo poi registrare che questo è il regno del malinteso. Mi piace l’idea che la difesa della libertà di amare nasca dalle donne.
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in questi giorni i post riguardanti quest’argomento dilagano. basta leggere le argomentazioni ed i commenti per aver coscienza che neppure questa è la generazione giusta.
anche a me piace quell’idea, non foss’altro che son le donne a dare la vita, ma le donne son anche madri di figli maschi sui quali spesso riversano le loro frustrazioni, anche quella di non avere un membro eretto. Ops… ho esagerato? :
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Non si spiegherebbero gli utili astronomici legati al viagra e a cialis se non ci fosse una relazione tra erezione ed autostima, tra piacere e possesso. Non è un filo esile, è una conseguenza. Considerato che le madri hanno già “misurato” le capacità maschili, insegnare l’autoironia sarebbe buona cosa. 🙂
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ho idea l’amore, tra tutto, è l’unica cosa che ancora possiamo essere in grado di scegliere. matrimoni combinati a parte. ho idea che l’amore ancora coincida con libertà.
ci sono equazioni nel sentimento troppo delicate- tanto da mescolarsi con la follia. una rima non baciata con l’ansia del possesso. una donna si ama, non si usucapisce.
ma diventa sempre troppo tardi. e diventa sempre troppo inutile.
eppure i segnali ci sono. eppure all’amore non bastano le allerte. ciao Willy, grazie per aver affrontato il tema.
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“L’uomo non osi separare quel che Dio ha unito”.
Non ti nascondo che riascoltando questa frase così terribile, in occasione di matrimoni, per un attimo mi sono sentita una perfida carogna senza cuore.
Non so, forse ho peccato di superficialità, oppure ho commesso un colossale errore di valutazione: ma se non avessi osato separare, mi sarei separata dalla vita già da tanto. Bada: non avrei torto un capello ad anima viva, ma solo ad un’anima morta: la mia.
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devo dire che quella frase mi ha sempre costernato, come offesa al libero arbitrio, come negazione di dio, come intrusione sociale sulla vita dell’individuo. Non è momento, ma su questo parlerei a lungo, partendo dai danni fatti da un modo di sentire dove la persona veniva coartata e ridotta al silenzio. Hai ragione Nico, credo che senza le vie d’uscita della separazione e del divorzio, non pochi avrebbero rivolto la frustrazione su di sé.
@ Gitti, che bella sorpresa :), .
E’ così, finisce prima, i segnali ci sono tutti, fa aggio quando si capisce, l’arroganza del cambiare l’altro, e poi non è mai notte per gli orbi.
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Effettivamente, da donna, mi pongo molte domande su quest’impennata di fattacci e sento che ci si deve necessariamente interrogare più sulle vittime che sui carnefici, e sulle madri dei carnefici anche, molto; non è per fare il processo a nessuna ma per capire dove nasce e perché non si riesce a sradicare questa paurosa auto-disistima femminile che genera madri di maschi violenti e donne disposte ad essere annientate e negate in ogni senso.
Non troppo tempo fa ho letto su di un blog una storia autobiografica di violenza, presentata con toni da melodramma d’amore uscito di controllo: a scrivere quella storia era una donna.
Tutto era porto peri produrre effetto di drammaticità, di compatimento e rivendicazione…eppure la storia era andata avanti per anni e c’erano di mezzo anche dei figli…come non incazzarsi con lei, visto poi che la narratrice in questione è persona di livello e mezzi intellettuale affatto comuni?
Incazzarsi sì, proprio incazzarsi a morte contro questa forma di perversione autodemolitrice.
Be’, concordo pienamente con Beba, casomai non si fosse capito.
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‘sera Tereza 😉
è la paura e non quella della violenza visto che quella farebbe andare via subito, ma un’altra paura, ben più profonda, ben più radicata e spaventosa…
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