
Leni Riefensthal è inquietante, il pensiero del nazismo è ancora inquietante. Con la fine della guerra e il processo di Norimberga si è rimosso tutto quello che poteva dare fastidio, considerandolo il male assoluto, ma era la necessità di uscire dall’abisso. Serviva negare l’orrore, dire che non ci apparteneva. Ma perchè in 2 anni una nazione considerata tra le più civili al mondo, sposasse eugenetica, superiorità della razza ariana, lager e soppressione per ebrei, omosessuali e zingari, rendesse naturale la messa al bando della cultura non conforme, i roghi di libri devianti, il dominio del mondo come obbiettivo ecc. non emerse a sufficienza. Forse per paura di scoprire che il nazismo, come il fascismo, era ben condiviso. Che, appena fuori dai paesi in cui si espresse, veniva osannato e che molte scelte furono condivise autorevolmente. Allora ed ora.
Leni, che non ha mai rinnegato le sue scelte, disse, prima di morire ultracentenaria, che aveva sempre amato la bellezza. Questa giustificazione è terribile, ma circola ancora nelle nostre teste: la bellezza e il genio oltre l’orrore. Come se l’amore per qualcosa di più alto bastasse per annullare l’uomo. Quanti di quelli che scomparvero nei lager avevano amato la bellezza e furono annientati da altri amanti della bellezza?
Il talento, il genio, si distrae sugli uomini, ed è esposto all’abisso della noncuranza. Non posso fare a meno di pensarlo quando guardo i film o le foto dei Nuba, della Riefensthal. Mi piacciono le sue foto, ma non lei, come mi piaceva ciò che scriveva Celine, ma non il nero che gorgogliava nella sua testa. Lo stesso mi viene da dire di Pound, e di Strauss e degli ignavi, allora senza contesto, poi divenuti abissi di cecità. E’ possibile scindere le persone, il genio, dai suoi comportamenti umani? Una parte non piccola di patologie, ed alcune terapie, anche pediatriche, portano il nome di medici che fecero ricerca nei lager, è possibile guardare come ad un progresso la loro opera? Mi arresto davanti alla necessità di separare persona e opera, cerco di capire, di non gettare via tutto in forza dell’atroce che queste persone tollerarono o difesero. Ma queste considerazioni le posso fare perchè sono in democrazia e non in un regime nazista.
n.b. Mi colpisce che ci sia una traccia che lega il corpo a quegli anni e che non è la sua liberazione. I regimi hanno bisogno di bellezza plastica e vera, non di corpi e menti liberate. Proprio in quegli anni il corpo iniziò a sconfinare verso la sua ossessione, ne portiamo ancora l’eredità senza critica. Ed ho la sensazione che il dialogo tra mente e corpo sia ancora alquanto carente, con il secondo che impedisce alla prima di essere critica. E’ la religione dell’apparire più che lo star bene e i corpi non dovrebbero essere di marmo più che di carne. Tutta questa superficie indurisce le teste. E alla fine si può amare la bellezza senza l’uomo.
E’ IL PENSIERO DELL’UOMO CHE CREA E GENERA LA BELLEZZA.
Senza quel pensiero scaturito dall’energia che incendia un lontano,tutto brucia veloce e solo freddo marmo resta che uno sguardo criticherà o freddamente passerà oltre ogni tanto tornando.BUON 1 MAGGIO,Roberto.Bianca 2007
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La questione è molto interessante, ma dal canto mio non saprei contribuire se non con altre domande.
In questo momento, in particolare, me ne viene in mente una che è un po’ provocatoria, e in un certo senso speculare, quasi un tormentone per chi ha vissuto la stagione degli anni ’70 e dell'”arte militante”.
Bastano davvero le implicazioni sociali, per positive che siano, per far diventare arte una qualche espressione umana?
(so che non è questo che pensi, beninteso – voleva essere il termine di paragone opposto)
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Non è quello che penso Rob, come non penso che molta banalità di sinistra o di arte del popolo sia più che un modo di dire, ovvero una forma senza contenuto. Anche in Russia vi furono fenomeni analoghi a quanto accadde in Germania e in Italia, talenti veri celebrarono fingendo di non vedere cosa si annidava nella prassi del regime. Molti pagarono, credo che il genio con il coraggio della responsabilità, abbia molto di più del solo genio.
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Ho letto tre volte senza riuscire a commentare, come succede quando le parole ti conducono verso direzioni differenti, tutte meritevoli di riflessione.
Poi la mia attenzione è stata catturata da quell’ultima frase: Si può amare la bellezza senza l’uomo. Verissimo. E questo non è successo soltanto nei regimi di destra (e di sinistra) del passato. Succede anche ora, tutti i giorni, nelle democrazie asservite alla dittatura del consumismo, che mastica bellezza al pari d’un grissino, sovente fuori da ogni rispetto per la dignità umana.
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Se hai solo appoggiato un regime, credendolo giusto, e sei un genio, la tua genialità non prescinde la tua umanità in tutta la sua interezza.
Se hai fatto del male a qualcuno, non meriti di essere ricordato nemmeno da tua madre.
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