trittico sulla vecchiezza III

 

Siamo stati fortunati, abbiamo vissuto in un tempo dove passato e futuro si sono scontrati e le correnti ci hanno abituato al cambiamento. In fondo non abbiamo subìto, neppure quando non eravamo protagonisti ed i sogni ci sono passati accanto, attraverso, ma restavano davanti a noi. Hai mai pensato a come cambiano i sogni con l’età? Non parlo dei sogni dei vecchi, ma di quelli che hanno una miscela d’anni e di desideri ancora vivi, un dialogo che rimbalza tra passato e futuro. Aver vissuto nella seconda metà del ‘900 ha avuto molti vantaggi. Qualche giorno fa, mi chiedevo cosa resta degli anni ’70 o ’80 e cercavo le risposte positive. Lo sai che non mi piace il tuo pessimismo da reduce. Alla fine penso che abbiamo avuto fortuna, perchè c’erano occasioni per sperare molto e le cose mutavano in quegli anni. Eppoi abbiamo visto all’opera persone singolari e importanti, pensa a Gorbachev,Walesa, Berlinguer, Wojtyla, Brandt. Il mondo cambiava e dopo la corsa degli anni giovani, restava la necessità di porci risposte, cercando domande confacenti. Mica tutti ci sono riusciti e solo quelli che ce l’hanno fatta a resistere alla pressione del velo che era caduto, si sono salvati. Gli altri li trovi dall’altra parte con nuovi veli comodi nel pdl e nella lega, oppure chiusi in casa, o anche scomparsi in qualche gorgo d’ideale a sonnecchiare. Eravamo partiti dal rifiuto delle convenienze, ma soprattutto era emersa una scardinante rivalutazione del piacere e dell’individuo. Anche l’ideologia contribuiva a distribuire male e bene secondo regole nuove e su tutto governava l’idea che tra il prima e il dopo si era creata una frattura insanabile. Bastavano pochi anni per essere fuori dalla corsa, ma chi c’era, aveva tra i 20 e i 25 anni. L’hai mai pensato che questo ci ha preservato dai disastri di quelli appena più giovani e consegnati ad un futuro senza speranza? Solo fortuna e niente merito, anche per quelli che hanno battagliato il necessario, che sono rimasti nei cortei, che non mancavano un diritto in piazza, in casa, nella testa. Di tutto questo resta la consapevolezza di aver vissuto e di voler vivere ancora. Abbiamo appreso la diversità come valore, i nostri fratelli maggiori non avevano questa percezione e adesso questo ci permette di pensare la terza metà della vita, come diceva un amico in africa. Ci permette di fare e di dare una mano ai nostri figli e nipoti. Non parlo di denaro, parlo del fatto che se non ci tiriamo da parte e ci mettiamo a fianco, per questi non c’è futuro. Non ti pare una conclusione bella per un periodo in cui abbiamo vissuto alla grande, quella di riprendere in mano il futuro, non per noi, ma per chi ha adesso 30 anni. Sarebbe una rivoluzione vera. Più vera di quella che ci pareva a portata di mano, una restituzione di parte di quello che abbiamo avuto, ma soprattutto compenserebbe l’eccesso di sogni che abbiamo trasfuso nei nostri figli. Gli abbiamo detto che potevano seguire le loro inclinazioni e realizzarsi e poi abbiamo lasciato che il lavoro diventasse precarietà. Dove eravamo quando la precarietà è montata sino a diventare economia. E nella precarietà cosa si può realizzare? Nulla di buono, anzi si sta erodendo quello per cui ci pareva che il mondo fosse più giusto: l’eguaglianza come prassi della mobilità sociale. Ma abbiamo tempo, molto più tempo di allora, le idee stanche, ma chiare, la possibilità di dire no. Mi piace l’idea della pioggia fatta da un coro, l’acqua che lava, che nutre e scende in profondità, mi piace l’idea di essere acqua, goccia, parte di un evento che si ripete e che continua, mai eguale eppure conosciuto. Partiamo da questo  per iniziare la terza metà della vita.

6 pensieri su “trittico sulla vecchiezza III

  1. NON MI PIACE
    parlare di vecchiezza.Di acqua si ma di sorgente e NON imbottigliata anche se in vetro.Mi reputo FORTUNATA per averla (veramente) bevuta da un ruscello sgorgato da un lago e da una cima alta da non poterne misurare l’altezza.Forse era solo l’illusione ottica della GIOIA che provavo ma quanto era bella! Questo voglio ricordare parlare vivere.Ciao uomodellenevi,Bianca 2007

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  2. …sono d’accordo, c’è molto da fare:
    abbiamo rubato la promessa al futuro dei nostri ragazzi…
    a me i professori avevano spiegato che per fare l’artista puro bisognava essere ricchi, e non essendolo ho scelto una strada che mi ha portato verso un lavoro “vero” pur senza abdicare alle mie inclinazioni.
    sognavo l’accademia delle belle arti a bologna, invece lì ho frequentato un corso biennale tecnico che mi ha permesso di lavorare da subito.
    per questo devo ringraziare L. Puppi, il mio professore di storia dell’arte
    (i miei genitori non li avrei comunque ascoltati).

    ora, a ferrara accade che per accedere a facoltà tipo “scienza della comunicazione” occorre un test d’ingresso: per spiegare l’affollamento assolutamente incongruo…
    se sei bravo il test lo superi, la laurea la ottieni, ma dopo???
    …e non basta cambiare città.
    quando va bene farai la commessa…se hai “bella presenza” e non rompi troppo le scatole.
    le uniche fabbriche che non chiudono sono proprio certe facoltà, che producono a pieno ritmo schiere di disoccupati…senza che nessuno pensi ad avvisarli di ciò che li aspetta.
    almeno questo lo dobbiamo fare, spiegare ai nostri ragazzi che oltre i sogni li aspetta la realtà.
    che non è mai stata tanto crudele.

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  3. Siamo stati fortunati. Peccato che poi abbiano vinto gli ingegneri, gli economisti e gli informatici.
    Noi umanisti, noi sognatori, noi che amiamo e rispettiamo l’altro, noi ex di Woodstock, pace amore e libertà ci siamo dissolti come neve al sole. Abbiamo abbandonato il suolo pubblico e ci siamo chiusi nel privato, magari a scrivere i nostri blog.
    Chi compra e chi vende non ha pietà, non ha rispetto, compra anche i politici e assolda i mafiosi. E non faccio manichee distinzioni perchè so che troppi sono coinvolti, chi più chi meno.
    Abbiamo l’obbligo di testimoniare ai giovani la nostra speranza (ma ce l’abbiamo?). Abbiamo l’obbligo morale di non sparire, di dialogare coi giovani e i bimbi. E di pensare che il nostro tempo sta declinando, che non siamo più al centro della scena senza sintomi depressivi. Solo, per piacere, manteniamo viva la rabbia e la capacità di indignarci. Se poi qualcuno di noi riesce e ha voglia di calpestare di nuovo il suolo pubblico senza voler strafare, tanto meglio.
    Giorgio

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  4. condivido i vostri pensieri, mi pare che a volte il cerchio della speranza anzichè orizzonte diventi cappio ed allora mi ribello e penso che le idee non hanno età, che dare qualcosa è un bel ricevere. Qualche giorno fa ne parlavo col mio cinico amico che diceva che ormai possiamo solo parlare, che il rifiuto dell’esistente sono parole perchè stiamo troppo bene, che in fondo non ci interessa davvero il cambiamento altrimenti non saremmo finiti così. Gli obbiettavo che molti rifiutano, che esiste una parte cosciente del paese che vede i pericoli e l’ingiustizia e non si maschera dietro al catastrofismo. E’ quello che penso, anche se i post come questo alla fine tracciano un confine tra chi si è chiuso nel privato e tra chi considera che il destino individuale sia parte di quello collettivo. Con un post sui sentimenti si comunicherebbe di più, ma a che servono i sentimenti senza sogni?

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  5. “A COSA SERVONO I SENTIMENTI SENZA SOGNI”?
    Magnifica provocazione di vita qui mi fermo e provo a riprendere un sonno interrotto a metà.Ma è l’alba e il primo gallo ha cantato.Un bacio a te che m’hai regalato la prima meravigliosa colazione ricca di miele al peperoncino con caffè corretto a grappa.QUI siamo meno quattro.Bianca 2007

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  6. Sinceramente, non credo che tra noi e la generazione che ci segue ci sia un divario di status e di idee diverso da quello che c’era quando la generazione “giovane” eravamo noi.
    Certo, è desolante constatare con quanto velleitarismo pensavamo che ne saremmo rimasti indenni.

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