16 marzo 1978

La notizia del rapimento mi aveva seguito per strada, fino alla Camera del Lavoro. Ero sindacalista. Ci fu una riunione rapida e appena proclamato lo sciopero generale, iniziarono le assemblee nei posti di lavoro. Chi non ha vissuto in quegli anni non può capire gli errori, il senso di precarietà che circolava. A Padova c’era autonomia, chi nel sindacato si era schierato col PCI era un obbiettivo, la notte c’erano telefonate silenziose, paura e diffidenza.

Quanto sto per dire può essere fastidioso, ma l’impressione che ebbi dalla prima assemblea era di interesse limitato per l’accaduto. Come facesse parte della normalità, fatta di morti ammazzati, di bombe, di precarietà. Qualcuno sollevò il problema della giornata persa in busta paga, altri zitti, sarebbero andati a lavorare. Li guardavo e pensavo che erano lavoratori come me, che Moro era democristiano come gran parte di loro, che dovevano sentirsi colpiti almeno quanto noi. Non c’era diversità tra di noi nella difesa dello stato, se non ci fossimo opposti sarebbe passato tutto, citai la resistenza, le lotte. Ma restava la distanza e alla manifestazione ci furono gli indomiti, i convinti, i precettati, non il sentimento corale della ferita subita. Nei giorni successivi fu sempre più difficile, discutevamo, ma il tira e molla della trattativa, rendeva tutto più distante. Mi occupavo di servizi e pubblico impiego, ma continuava l’impressione dolorosa di una separazione tra le persone e l’accaduto. Parlavamo della scorta, di 5 poliziotti ammazzati per il loro lavoro, dell’insicurezza come cappa che ti stava addosso e ti faceva star sveglio quando in treno passavi le gallerie dell’appennino. Ciò che percepii allora era un paese già stanco di battaglie, che rifiutava la politica e le brigate rosse, che si chiudeva nel proprio quotidiano per lasciar fuori l’interesse civile. Sulla questione della fermezza dello stato spesso prevaleva la pietà, ma sembrava ininfluente la manifestazione, lo scendere in piazza. L’epilogo colse di sorpresa, anche gli indifferenti, credo che moltissimi speravano, credevano, che l’enormità non sarebbe stata compiuta e se Moro fosse stato rilasciato, le brigate rosse avrebbero avuto qualche consenso insperato. La mia sensazione è che già allora si fosse consumato molto del tessuto che teneva assieme vita civile e politica, quotidiano e lotta per i diritti. Molti di noi hanno cominciato a vedere la DC diversamente dopo il sequestro Moro, a distinguere e considerare che non tutto era eguale, che l’ideologia era una scorciatoia, non una visione del vero. Quell’evento cambiò molti e il dolore successivo non fu solo pietà, ma la consapevolezza della fine di qualcosa.

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8 pensieri su “16 marzo 1978

  1. buongiorno willy
    ieri sera mi sono sorbita il trentennale in tutte le salse.
    ricordo quel giorno, lo ricordo bene, ero piccola, ma ero anche una piccola attiva: era il periodo delle barricate a bologna, di radio alice, e io ero con mia madre lì in quel marasma generale, ascoltavo i deliri di certi scellerati e credevo con gli occhi di una bambina che tutto fosse normale.
    non ho gradito la commemorazione, il tg1 che ha occupato oltre quindici minuti a questo ternt’anni e il parallelismo con le torri gemelle, ecco.
    questo no! oltre al fatto che le torri gemelle sono anche diventate un business, oltre che sono servite alla causa terrore per giustificare conflitti costati miliardi di dollari.
    il sondaggio: dove eri quando è accaduto, mi è sembrato del tutto fuori luogo e anche stucchevole.
    ricordo quel 78 come una stilettata, sì, ricordo poi mio nonno che aveva gli anni di moro, ricordo che faccia fece da vecchio fascista, ricordo che morì anche lui nello stesso mese di moro.
    ma posso dirti una cosa? ricordo la bomba a bologna con più dolore.
    in ogni caso mi ha stupito il fracasso di questo 16 marzo nei media.
    mi ha stupito e credo ci siano tante altre cose da non dimenticare.

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  2. “E LA CONSAPEVOLEZZA DELLA FINE DI QUALCOSA”.
    Credo che lo percepimmo tutti,giovani e meno. la forza ancora oscura di questa frase! Un potere finiva per esserne soppiantato da un altro.L’ironia che,anche nell’inconscio collettivo cominciava a farsi strada.Astratti principi che si scontravano con una REALTA’ che,nel nuovo affiorante,la fece da padrona e Moro lo sapeva anche se coi suoi modi lottò per ribaltarla a suo favore.Ma fu una sconfitta.E anche questo,Moro lo seppe.Comunicato 3″le brigate rosse l’avevano detto chiaramente:”Niente deve esere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume”-Ma quella Democrazia Cristiana,(la “sua” e quella di sempre),senza vertebre e disponibile a tutti i giochi sotterranei su cui aveva il suo fondamento…fece”l’affaire” che più le conveniva,ma dal quale doveva avviarsi ” l’ALTERNATIVA E…ALTRO POTERE.Mah! la Storia va avanti con mille forme di ripetizione e,qualche piccolo radicale cambiamento che porterà sempre “linfa” o “contaminazione”.Dipende da che angolazione si guarda! Che la lotta non finisca mai è assodato.Forse un pò meno le “intelligenze” che si modernizzano! Buon proseguimento di giornata Willyco,Bianca 2007

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  3. Cara Emma non vedo quasi mai la televisione, ascolto la radio e leggo solo alcune cose sui giornali, cultura, economia e scienza, poca politica, quindi non so nulla di celebrazioni. Non poteva che essere così, perchè parlare molto significa nascondere l’area buia del fatto. Ho riferito un mio ricordo e hai ragione, altri fatti sarebbero stati cruciali per me. Ad esempio la morte di Berlinguer vista e vissuta in diretta. Parlo di me Emma, senza altre pretese ed ero giovane in quel ’78, ma avevo già una vita vissuta e l’impressione di distanza e retorica, colpì la mia storia. Forse anche adesso c’è lo stesso atteggiamento, solo che ormai è una crosta.
    Potrei parlare anche della bomba di Bologna, della notizia sentita in diretta, ero a Rovigo e ho fermato la macchina perchè le lacrime e l’emozione mi impedivano di guidare. Della voglia trattenuta di andare subito lì e la fatica poi di ritornare perchè la rabbia mi toglieva lucidità. Ma sarebbe solo un episodio personale, come le notti insonni in treno dopo la strage dell’italicus o la foto di un uomo inginocchiato in piazza della Loggia a Brescia con una bandiera sulla spalla che per anni mi ha accompagnato. Ho scelto di vivere senza pelle, non mi sono risparmiato, ma è una scelta mia che non avrebbe senso in un racconto del dove eravate quando…
    Quello che penso Emma è che se si sceglie di esserci, che sia una mostra d’arte, una manifestazione, una barricata è una partita personale, che assume un valore collettivo solo perchè altri la sentono come te. Moro l’ho ricordato spesso tra me e me, insieme alla scorta, perchè ha significato.
    Forse hai ragione, bisognerebbe parlare di meno oppure meglio.

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  4. mi ricordo il silenzio improvviso nella mia città.
    fu un silenzio raggelante, totale, per alcune ore almeno.
    ci sono molti altri eventi terribili da ricordare, è vero, ma quel giorno non fu soltanto sparso sangue innocente, fu colpito il cuore dello stato come mai prima.
    e roma ebbe paura.
    poi venne tutto il resto e non è stato bello.

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  5. Mi ricordo i posti di blocco, le perquisizioni, la psicosi collettiva. La sensazione di non sapere neanche contro quale nemico ci si sarebbe dovuti battere, dopo dieci anni di bombe e stragi e misteri mai risolti. La sensazione che a sua volta quella sarebbe stata un’occasione su cui tutti si sarebbero buttati ancora e sempre per il loro tornaconto di parte.
    Così fu, purtroppo.

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  6. bene amici miei, eravamo in posti distanti, con età ed esperienze diverse e le sensazioni sono simili. Non possiamo pensare che sia solo una coincidenza. La verità su quegli anni e anche su quelli vicini, manca a tutti. E’ quello che si può pretendere da chi afferma di essere diverso politicamente. Vivere oggi, magari è più facile, ma é la speranza condivisa che latita. Credo che possiamo fare qualcosa, magari solo per vivere meglio e farci vivere meglio.

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  7. Avevo 16 anni allora ma lo ricordo bene. Mio padre stava a Roma per motivi di lavoro e frequentava, per lo stesso motivo, l’ambiente politico, anche se di colore diverso. Ho avuto paura, devo ammetterlo. Tanta paura. In quel periodo frequentavo abbastanza Roma e quando una notte fui fermata, perquisita e messa al muro da un gruppo di poliziotti mi sentii non so bene perché colpevole, anche se non avevo fatto niente di male.
    Come non posso dimenticare la morte di Enrico Berlinguer che, forse perché sono sarda, è stato qualcosa di simile a perdere una persona di famiglia.
    La stazione di Bologna. Rivedo il tutto come ora. Avevo dato l’esame di maturità ed ero sulla nave, diurna, che mi portava da Porto Torres a Genova, per poi proseguire per Parigi. Ancora mi manca l’aria a quel ricordo. Anche se so bene che è niente in confronto a quello che hanno provato e provano i bolognesi (ho un caro amico che spesso me ne parla).
    Mi sembra di cercare di ricomporre un puzzle. Io non guardo mai o quasi mai, la tv. Leggo, parlo con la gente e ho i miei ricordi a cui sommo quelli delle persone che mi stanno vicino.

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