felicità globale

Prima venne l’idea della felicità collettiva, come possibilità e diritto, poi per molti, questa si trasformò, nella somma di tante felicità individuali. Come se la sommatoria desse sempre un segno positivo e non fosse una realtà algebrica, con chi era felice per sottrazione di altra felicità. Questa era una prima misura della spontaneità ignara che pervadeva un pò tutti. Non ci rendevamo conto di essere dentro un processo che avrebbe mutato le nostre vite.

Il binomio gioia e rabbia era sostanza: alcuni analizzavano tutto, stabilivano l’aderenza ai principi studiati di susloviana osservanza. Altri lasciavano il primato alle sensazioni, non approfondivano: se tutto era nuovo che nuovo fosse davvero. Ero uno di questi e non mi è mai passata l’idea che lo studio fosse più di una delle componenti della vita. Ma il deviazionismo anzichè essere un valore come rifiuto del dogmatismo, era una colpa, questo ha reso molti di noi cani sciolti e salvandoli dalla successiva deriva del ritorno a casa.

Questioni a posteriori, queste; per i più la sensazione era che si potesse semplicemente uscire da un mondo troppo ingessato: un bel relativismo individuale ed una rigorosità nei principi collettivi. La giustizia sociale, la sopraffazione avevano nomi precisi, identificabili nel Viet Nam o nella Persia dello Scià o a Cuba. Luoghi in cui si combatteva per un mondo diverso e più giusto e non era necessario iscriversi ad un partito per sentirsi dalla parte giusta.

Il cambiamento maggiore era però nel quotidiano: più libertà nei rapporti, si poteva fare all’amore anche se non si era fidanzati, mutare le regole condivise. Anche prima magari era così, ma adesso sembrava che le cose si svolgessero alla pari. Forse questo è stato il maggiore cambiamento di quegli anni: le grandi ragioni incontrarono l’insuccesso politico, ma ci furono le premesse per un mutamento sociale duraturo. Chi era di poco più vecchio improvvisamente appartenne ad un’altra epoca.

Alcuni restarono sull’idea della felicità collettiva, entrando nei partiti, e sperimentando il beffeggio di chi sapeva come funzionavano le cose: la felicità non era una categoria della politica, casomai un incidente transeunte.

Altri perseguirono con maggiore decisione l’idea della felicità personale attraverso esperienze a tempo indeterminato, ma con la scadenza come il latte. La scoperta del corpo, la relatività del dolore nei sentimenti, la possibilità di cambiare moglie e lavoro. Allora le mogli sono diventate compagne e la dimensione del giorno si è dilatata invadendo la notte. E’ iniziata la scoperta del vivere individuale, spostati i limes, ad iniziare dai sentimenti e dal lavoro che da fisso diventava mobile: si poteva ricominciare e la speranza era una modalità del vivere.

Molto è buono di quanto è successo ed è talmente poco labile, che siamo ancora a discutere dei prodotti di quella stagione.

Stagione iniziata prima con la musica, la letteratura, le arti, i singoli entusiasmi contro qualcosa, il tutto confluito in qualcosa di imprevisto, fatto di casualità e ribollente di possibilità.

Molti ci hanno vissuto per anni su quella stagione, hanno trovato ragioni per giustificare, per vivere. Non importa se non c’erano, non importa se hanno capito cose diverse: l’effetto inconsapevole del movimento era stato raggiunto.

Con il ’68 non si sono creati reduci, solo storie e interpreti. I ricordi si riferiscono ad una stagione in cui è stato intenso essere giovani, il mondo era mutabile e la propria libera felicità era cosa buona, atta, imperscrutabilmente, ad aumentare la giustizia nel mondo. Da quel momento la giovinezza si è prolungata, come se le idee e la speranza di realizzazione, impedissero di diventare vecchi e molti ci credono ancora a questo assioma della giovinezza.

Vi pare poco?

4 pensieri su “felicità globale

  1. UH CHE TUFFATA
    di entusiasmo dei miei 20 anni mai andati via,se non con qualche controllo (doveroso) di adrenalina del tipo danzare a piedi nudi sul prato quando è ancora bagnato!…Ma come mi è sempre caro ogni movimento di pensiero dissidente! Ciò che allora saltava all’occhio era lo scarto tra fragilità dei contenuti programmatici e dei comportamenti,da un lato,e,dall’altro,la capacità di resistere ai numerosi tentativi di riassorbimento e di conciliazione.Da una parte idee e modi di agire labili,come per improvvise folate,dall’altra,una durezza crescente,una persistenza degli atteggiamenti di fondo che diveniva capacità di rinascere dalle proprie ceneri,in forme diverse,se il tentativo può per caso dirsi riuscito.In realtà le idee e i modi di agire si approfondivano continuamente,si generalizzavano.E questo sembra ovvio.Allo stesso tempo però,il passaggio da un movimento all’altro,nella stessa area dei giovani,sembrava avvenire per improvvise amnesie,senza memorie (senza storia).E’ per questo che un esame basato esclusivamente su quello che viene detto o fatto (in un singolo momento) risultò a breve scadenza fuorviante.Eppure,questo fu il metodo usato più frequentemente dagli “altri”,dagli “inseriti”,per cercare di capire quello che stava succedendo.Anche allora una parte della sinistra,dichiarò inservibile certe posizioni affermate.E con che gusto poi se non quello di vederle morire anche se poi dovranno in seguito essere costretti a RIVEDERE il conclamato e rapportarsi con la cosa defunta…Ma perchè durarono a lungo i movimenti di dissidenza? Credo senza ombra di dubbio per le sue molteplici capacità di confronto e un’affinità di fondo fra gli strati sociali coinvolti e il contesto da cui sorgono.Certo che,ci si inoltrava in una regione incerta che si prestava a ripetuti attacchi da parte del pensiero settorizzato.Eppure bisogna aggiungere che,l’approfondimento non sarebbe stato possibile senza uno spostamento contemporaneo,e indipendente,delle situazioni osservate.C’era rabbia e disperazione anche privata,prima che l’atomizzazione sociale avvenisse.Ma la risposta del GIOVANI fu sempre spontanea e immediata e,senza pensare all'”obbligo” di una via che le cconglobasse in gruppi.Nulla però che fosse l'”unione con il vecchio che,ben sappiamo poggiano e vivono sulle più squallide debolezze.Certo che, quel movimento,fu tacciato d’incoscienza,di agire “folle” e “fuori da ogni regola”.Eppure è solo prerogativa dei GIOVANI SOGNARE IN GRANDE E CON VISIONI LONTANE.Il “GIOVANE ADULTO” continua a sentirla e a pensarla allo stesso modo.Con una differenza Non crede nell'”assoluto” bensì nella “relatività” anche se il SOGNO DI UN NUOVO MIGLIORE,SA’ CHE NON DEVE CESSARE!
    Che ADRENALINA,Willy,rivivere quei SOGNI! Bianca 2007

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  2. sono arrivata dopo..quella che hanno chiamato l’ onda lunga del 68..quelli del 77, il movimento…mi ricordo le sessantottine, le sorelle grandi. quelle che organizzavano i gruppi dei collettivi, che ci raccontavano com’era fatto il nostro corpo, come si doveva fare per non rimanere incinta, insegnavano a fare i volantini, usare il ciclostile, organizzare gli striscioni..noi liceali mai in testa al corteo, ehhhh……
    ci avete dato tantissimo, la speranza di cambiare, la voglia di aria diversa, che in fondo ci è rimasta dentro, anche adesso.
    certo che qualcuno si è accasciato sul divano, ha rimosso, si è spento, come una candela.
    ma tu no. tu sei rimasto pieno di vita, e di voglia di fare, e questo arriva da lontano, da quei tempi.
    buona serata, amico grande…

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  3. ho pensato subito e solo al principio di massimazione, giuridico economico, reminiscenze universitarie:
    massima felicità per il massimo numero di persone.
    (ho pensato a questo perchè di sessantotto ne ho piene le tasche e ho anche fatto indigestione, con il dovuto rispetto per le eredità che abbiamo colto)

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