Ieri, al mare, due uccelli nuotavano nel tramonto. Ogni tanto sparivano in cerca di cibo sul fondo, per riapparire dopo un tempo che pareva lunghissimo. Più d’un minuto, è tanto, per polmoni piccoli e coraggiosi, che cercano anche a 6 metri di profondità.
Nel mare viola e arancio, il pensiero è corso alla similitudine della scoperta del sè, con la vita in superficie, allegra o triste, ma apparente e la ricerca del sè nel profondo. Il cibo per noi è lì sotto ed è quello che ci permette di vivere ed apparire . La maestria e l’arditezza con cui un uccello si immerge, è ciò che vorremmo nel percorso iniziatico alla nostra comprensione.
La leggerezza è nel prodotto di questa semplicità e rischio della ricerca: essere, finalmente senza sforzo, nutriti nel profondo.
Mica facile.
L’uccello è lo svasso maggiore e si arrabbia se lo si chiama folaga.
Oggi sono andata io al mare. Stamani. Dopo una serie di bastonate prese negli ultimi giorni. Ed è proprio come dici tu. Avevo bisogno di andare in profondità, capire, vedere, essere.
Non sono sicura di stare bene, meglio sì. Ed è già qualcosa.
Brutta bestia l’asimmetria… se ne esce con le ossa rotte… ora sto a ricomporle (maldestramente, direi…)
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