del parlare ad alta voce

Un tempo, chi parlava da solo per strada, era guardato con scuotere di capo. Non il mio. E ne ho conosciuti di quelli di cui si favoleggiava un amore sconcluso, una paura mai trascorsa, una solitudine non mitigata. In uno, in particolare, la parola non era buttata al vento, c’erano frasi logiche e allusive, parole ricche, mormorate tra il sè cosciente e l’altro sè vagante. Mi fermavo e sembrava ascoltare, rispondere, oltre il saluto. Ma i suoi occhi scappavano dalla costrizione che gli imponevo, finchè, mormorando qualcosa, se ne andava. Era stato un discreto musicista, poi qualcosa era andato storto. Amici da ragazzi, mi è tornato in mente, perchè anch’io mi dedico al soliloquio. Guardo dentro e fuori, mischio la curiosità del capire con la necessità del capirmi. Dove sto andando lo posso chiedere a me solo e la domanda, estesa ad altri, che leggo e vedo, è analoga, ma più lieve. Penso che a volte, ci si possa prendere per mano e che questa mano, anche se virtuale, non ci abbandoni nei momenti in cui si cerca. Non per sopravvivere, per accontentarsi, ma perchè il soliloquio si trasforma in dialogo. Le parole hanno chi le raccoglie, le storie scavano dentro quando si sente l’assonanza. Basta essere veri, lasciare che la forma non prevalga, che il dire smozzicato parli a chi ha voglia d’intendere. Leggo la mia storia e le mie fermate in attesa di nuovi treni, nelle frasi che si rincorrono su pagine diverse. A volte è un libro, un film,  spesso, di recente, è un post. Nulla è sovrapponibile, ma molto evoca e fa transitare emozioni. A molti sono vicino, sento comunicazione e gli occhi scivolano solo per antico pudore, badando più a condividere l’eco di una vibrazione piuttosto che sapere. Approfondire, ma senza chiedere. Perchè a tutti è successo di parlare con il noi di prima, di continuare il colloquio con chi è ben presente e per altri non c’è. Di guardare amori, solo per noi interrotti, al punto precedente la catastrofe, giusto il momento dove ancora tutto è possibile.  E non è forse successo di indagare nello specchio, senza allegrie immotivate, magari con la pietas rivolta al sè, di prendersi tra le mani perchè altre mani non erano vicine. Questo accanto alle corse e le risate, ai sorrisi complici e alle tre cose che non avremmo mai voluto fare, ma che abbiamo fatto. Tutto questo portiamo, zaino a volte leggero, a volte pesante, ma solo nostro. E questa è la nostra vita, con tutta la sua stranezza, allegra e singolare.

Sapere che nulla è scontato, neppure la tristezza, è invece, il senso del mio camminare. Non sono più capace di trovare i consensi facili, di ammiccare per una battuta in più. E’ benvenuto chi si ferma, prende ciò che crede e lascia ciò che ha da dare. Basta dare il giusto significato e importanza: nulla è definitivo, molto è solo vibrazione, anche se a volte, per miracolo, diventa sostanza, comunicazione profonda, vicinanza forte e piena. 

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2 pensieri su “del parlare ad alta voce

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